sabato 28 luglio 2012

PAROLE: EUTANASIA /1

“L’eutanasia non c’entra un fico secco. Ed è un reato. Ma volete che i magistrati della Cassazione ci abbiano autorizzato ad uccidere? Questo continuo ribaltare le cose non giova a nessuno e dovrebbe fare ribrezzo a chi lo pratica”.


Così Beppino Englaro liquida (Il Venerdì di Repubblica, 27/7/2012) la domanda che l’intervistatore, nel fare riferimento alla morte della figlia Eluana, gli pone, riferendo che “alcuni polemisti parlano di eutanasia”.
Il cattivo maestro, che consapevolmente ha deciso di trasferire la decisione sulla vita di sua figlia “nella società”, merita di essere letto, per capire cosa davvero è avvenuto e cosa potrebbe avvenire.
Englaro richiama, senza spiegarlo, un concetto di “eutanasia”, che giudica una pratica cattiva (“è un reato”; detto da colui che si è rivolto ai giudici è sicuramente un giudizio negativo); non lo chiarisce, ma sostiene che ciò che ha fatto è una cosa tutta diversa.
Che si tratti di mistificazione, si comprende dalla pretesa di falsificare la realtà, accompagnata – ovviamente – dall’accusa agli altri di “ribaltare le cose”: infatti, secondo Beppino Englaro, i giudici della Cassazione “non l’hanno autorizzato ad uccidere” la figlia.

Diamo per scontato che il riferimento sia al complesso delle decisioni della Cassazione e della Corte d’appello di Milano (furono i giudici di Milano ad autorizzare l’Englaro a procedere, in attuazione della precedente sentenza della Cassazione), e domandiamoci: cosa hanno autorizzato i giudici? La risposta – è banale, ma le cose vere devono essere ricordate e ribadite – passa attraverso alcuni gradini.

Eluana Englaro era viva? Si.
Stava per morire per una malattia progressiva e incurabile e giunta alla fase terminale? No.
Era in grado di nutrirsi, dissetarsi e curarsi da sola? No.
C’era chi la nutriva, la dissetava, la curava? Si.
Beppino Englaro è stato autorizzato a sospendere nutrizione, idratazione e cure? Si.
I giudici avevano permesso ad altri di nutrirla, dissetarla e curarla? No.
Un uomo o una donna, in qualunque condizione si trovi, può sopravvivere senza nutrizione e idratazione? No.

E allora: come vogliamo chiamare l’autorizzazione data dalla Corte di Milano a Beppino Englaro? Vogliamo dire che i giudici hanno autorizzato il tutore a sospendere nutrizione e idratazione ad una disabile che non era in grado di nutrirsi e idratarsi da sola, permettendogli, altresì, di impedire ad altri di farlo, e ciò fino a quando fosse sopraggiunta la morte della figlia?
Diciamo pure così: ma se una persona ha in custodia un neonato o un disabile grave, lo chiude in una stanza che chiude a chiave e il neonato o il disabile muore, cosa ha fatto la persona che lo aveva in custodia? Lo ha ucciso.

I Giudici hanno autorizzato Beppino Englaro ad uccidere sua figlia e Beppino Englaro l’ha uccisa.
Partiamo dalla realtà dei fatti.

Ma l’uomo che è stato autorizzato, su sua richiesta, ad uccidere sua figlia, e che ha utilizzato questa autorizzazione, non è soddisfatto; come tutti sapevano avrebbe fatto, la butta in politica (anche spicciola: non è puntuale l’attacco al governatore della Lombardia?) per fare “una sorta di rivoluzione”: contrappone “inviolabilità della persona” alla “indisponibilità della vita”, spingendosi ad affermare che sulla persona della figlia “si sono accaniti oltre ogni decenza”, ma rifiutando di rispondere all’affermazione che la morte di Eluana Englaro sia avvenuta “di fame e di sete” (“Ma quale fame, e quale sete … Non sanno di cosa stanno parlando”: di che è morta, sig. Englaro, sua figlia?).

Si arriva, quindi, all’eutanasia. Comprendiamo che la legalizzazione di ciò che ha fatto Beppino Englaro e che vorrebbero fare i suoi epigoni passerà attraverso la criminalizzazione di una pratica, sostenendo che l’uccisione delle persone è cosa diversa.
Vedremo, allora, se davvero quella dell’Englaro è stata eutanasia e se è possibile distinguere tra le varie uccisioni delle persone.

Giacomo Rocchi

giovedì 19 luglio 2012

Comitato permanente unitario


Marcia per la vitaLeggo sulla pagina Vita di Avvenire del 5 luglio che il Movimento per la Vita propone la costituzione di un comitato unitario permanente per l’organizzazione di una manifestazione pro life per il maggio del prossimo anno. Tale comitato dovrebbe prendere gli opportuni contatti con i Movimenti che hanno promosso la marcia del 13 maggio 2012. Si eviterebbe in questo modo di organizzare due eventi, come è successo quest’anno e si punterebbe tutto su di uno. Cercare di fare unità è importante, va sempre bene, e poi è apprezzato da tutti.
Sembrerebbe, tutto sommato, una buona idea. Ma qualcosa non mi torna.
Ripenso alla lunga querelle che in questi ultimi due anni ha opposto il Movimento per la Vita italiano a Federvita Piemonte e che si è conclusa con la costituzione, da parte di Carlo Casini, di una nuova Federazione piemontese antagonista di Federvita Piemonte. Solo perché, tra i membri del direttivo, Federvita Piemonte annovera alcuni appartenenti al Comitato Verità e Vita.
Per questo oggi in Piemonte ci sono due Federazioni di MpV e di CAV.
In nome dell’unità?
Ripenso ai MpV e ai CAV piemontesi espulsi dal Movimento per la Vita nazionale, solo per aver rifiutato di prendere la distanze da Verità e Vita.
In nome dell’unità?
Oggi quei CAV, che continuano come sempre a strappare bambini all’aborto, alla richiesta di un Progetto Gemma per una mamma a rischio di aborto, si sentono rispondere, senza nessuna considerazione per la gravità e l’urgenza del caso, che, in quanto espulsi, fanno parte di una lista speciale e riceveranno qualcosa se e quando saranno evase tutte le richieste della lista ufficiale.
In nome dell’unità?
Grosso problema si pone poi per lo stesso Comitato Verità e Vita. Alla marcia del 13 maggio ha aderito entusiasticamente ed ha partecipato in gran numero. Potrà mai, secondo il concetto di unità di Carlo Casini, far parte del costituendo comitato unitario permanente per l’iniziativa del prossimo anno, stante il proclama che il Nostro, sempre nel corso della vicenda su citata, ha lanciato, chiedendo agli associati del Movimento per la Vita italiano “di fare attenzione ai rapporti che Verità e Vita volesse proporre”. Di starne alla larga, insomma?
Marisa Orecchia
Presidente di Federvita Piemonte
Vice presidente del Comitato Verità e Vita

mercoledì 18 luglio 2012

Consigli utili per diffondere l’eutanasia


Riportiamo qui di seguito, preceduti solo da brevi commenti, alcuni stralci del resoconto dell’Associazione LiberaUscita, associazione favorevole all’eutanasia, del meeting biennale della World Federation Right To Die Societies, svoltosi a Zurigo il 14 Giugno scorso. Si tratta di un congresso mondiale, alla sua 19° edizione, che vede riunite tutte quelle sigle favorevoli alla dolce morte. Il report è interessante perché mette in luce quali sono le strategie a livello mondiale per diffondere sempre più le pratiche eutanasiche in ogni angolo della Terra. Ecco la sintesi degli interventi redatta da Rossana Cecchi, delegata di LiberaUscita al meeting svizzero.

  1. Per vincere sul suolo nazionale è più veloce e facile vincere in Europa: “la WF è stata fondata a Melbourne nel 1982. Dieci anni dopo è stata fondata la RtDE [Right-to-Die Europe] in Olanda e ratificata nel 1994 a Londra come branca della WF. Ho colto l’occasione per riferire la necessità, avvertita da LiberaUscita, di stringere relazioni con il Parlamento Europeo. Lui [il responsabile della RtDE] ha risposto che la RtDE ha chiesto al Parlamento europeo di essere ammessa fra le Organizzazioni Non Governative Europee (NGO) [il Consiglio d’Europa ha già respinto comunque la richiesta]. E’ quindi importante che le varie associazioni spingano sui rappresentanti del propri paesi nel Parlamento europeo affinché la richiesta RtDE venga accolta”
  2. La battaglia sull’aborto è fonte di ispirazione: “Morire a casa, dire addio ai propri cari, morire con serenità, sicurezza, certezza: queste sono le cose fondamentali. La medicalizzazione del fine vita trasferisce invece la decisione finale ad altre persone.Non vi è alcun motivo per ‘medicalizzare’ la morte, es. con iniezioni letali. In tal modo si stressa il medico, si stressa il paziente. Nel trattamento per bocca il controllo e la responsabilità è invece della persona interessata, la dignità, la serenità e il tempo sono sue scelte, soltanto la fornitura del preparato viene fatta dal medico, tutto il resto spetta al richiedente (ho avuto modo di capire che ormai molti condividono questo punto di vista. Nei Paesi dove è legale aiutare a morire, i medici cominciano a rifiutarsi, a non sentirsela più. Per questo si sta andando verso la non medicalizzazione).” Quanto sin qui detto ricorda curiosamente l’aborto: “serenità, sicurezza, certezza” rimandano a quegli elementi polemici utilizzati dal fronte pro-choice prima del varo della 194 per convincere i più che abortire in clandestinità era pericoloso per la salute della donna: meglio un aborto alla luce del sole, pulito e in piena sicurezza, che lasciare l’utero delle donne in mano alla mammane. Poi il suggerimento a non medicalizzare la pratica eutanasica, esattamente come è avvenuto con l’introduzione della RU486 dove l’aborto è autogestito della donna ed è domestico: l’aborto orale genererà l’eutanasia orale.Notevole poi l’accenno allo stress del medico che pratica l’eutanasia: come per l’aborto ci sono sempre più medici che si rifiutano di prestare la loro opera perché consci che si stanno prestando ad un omicidio o suicidio.
  3. Come aggirare la legge: “Faye Girsh [un responsabile di Final Exit Network, organizzazione americana che promuove l’eutanasia] ha riferito che già nell’anno 1998 […] hanno formato 29 volontari che lavorano sul territorio. Vanno nelle case, contattano i richiedenti e danno informazioni sui trattamenti non medicalizzati. Attualmente i volontari sono più di 100. Non forniscono supporto attivo, ma solo informazioni e, quindi, non sono perseguibili. Hanno un comitato medico con più di 10 anni di esperienza, che indica loro a chi possono fornire informazioni e quali informazioni dare”
  4. L’unione fa la forza: “si rende necessario collegarsi con altre associazioni laiche, cosa che la nostra Associazione sta facendo, e condurre insieme una lotta comune per la libertà e i diritti civili dell’essere umano”
  5. Portare sul fronte pro-eutanasia anche la Chiesa cattolica: “Bernheim, oncologo palliativista belga, è stato bravissimo a spiegare come le cure palliative non siano in antitesi con il diritto di morire con dignità, bensì complementari [è come per l’aborto: nessuno è obbligato ad abortire = nessuno è obbligato a togliersi la vita. Teniamo aperta ogni possibilità]. Dove finiscono le prime inizia l’altro. Ho avuto modo di parlare a lungo con lui. E’ pronto a qualsiasi tipo di collaborazione ed a mettere a nostra disposizione l’esperienza belga con la chiesa cattolica.”
  6. Il tentativo poi è quello di non passare come spietati boia: occorre cioè porre in essere una commistione di iniziative percepite dalla gente come lodevoli insieme ad altre dirette invece a promuovere l’eutanasia, così come sta facendo l’Associazione LifeCircle “che promuove le cure palliative e aiuta le persone con handicap e [promuove] la dignità nel morire”. Insomma, il lupo deve travestirsi da agnello
  7. Colpiamo il cuore della cattolicità: l’anno prossimo andiamo a Roma. “Right to Die Europe meeting in Rome in 2013. A tale proposito ci hanno consigliato di contattare esperti in comunicazione per sapere in quale giorno della settimana possiamo avere più attenzione dai mass-media. Anche la location la lasciano decidere a noi: in Parlamento o in albergo, dipende dove riusciamo ad avere più giornalisti. Si rendono conto dell’importanza, in un paese come l’Italia, e a Roma, di avere visibilità. […] Aspettiamoci un bel po’ di gente a Roma, sono tutti entusiasti sia per la città sia perché si va in casa Vaticano”
  8. E’ importante tenere desta l’attenzione delle persone con celebrazioni ad hoc: “Il prossimo 2 novembre sarà il giorno europeo del fine vita (European end of life day). A Edimburgo si svolgerà una manifestazione ufficiale. E’ stato chiesto a tutti di organizzare qualcosa nel proprio paese, come ad es. scrivere un articolo sulla stampa”.

Domanda a piè di pagina di questo report: quali strategie di tale spessore per sconfiggere aborto, fecondazione artificiale, contraccezione hanno posto in essere i cattolici in questi anni?
Pur avendo nominalmente più forze in campo quali risultati hanno raggiunto?

Tommaso Scandroglio

giovedì 12 luglio 2012

Davvero l'aborto non è un diritto in Italia? Risposta ad Assuntina Morresi \3

Concludiamo con il presente post il commento ad un passo dell'intervista che Assuntina Morresi ha rilasciato al sito dell'UCCR. Come sempre abbiamo fatto, le argomentazioni sono sui contenuti dell'intervista, sul merito della questione. Certo, se alcune affermazioni vengono fatte da persone importanti, e che per di più rappresentano in qualche modo una "linea politica" (che è quella di Eugenia Roccella), l'urgenza di commentare diventa più forte. E' un "commento", con argomentazioni che ci sembrano pacate e razionali, non un "attacco"; è la segnalazione di un dissenso ragionato.
Assuntina Morresi, sul sito "strano cristiano", definisce i due post frutto di un "atteggiamento molto stupido"; successivamente definisce gli attacchi "divisivi" (in altre parole: esprimo un'opinione contraria alla sua), arroganti e un po' vili. Non commento gli aggettivi, se non esprimendo il mio stupore per il richiamo alla "viltà": la rete è un "luogo" dove circolano le idee e dove si commentano i fatti e le parole; è uno strumento bello e "democratico", perché permette a molti - che non hanno la possibilità di ricorrere ai mass media - di esprimersi. Non capisco cosa ci sia di vile in questo. D'altro canto, chi rilascia un'intervista ad un giornale (o, nel caso di specie, ad un sito web), evidentemente si aspetta che le parole che pronuncia siano lette e commentate.
La prof.ssa Morresi non riferisce il merito delle argomentazioni che espongo (non indica nemmeno che i due post sono apparsi su Notizie prolife: invece, voi sapete dove leggere le considerazioni della prof.ssa Morresi), accusa il sottoscritto di attaccare lei e non altri (un po' come quando uno trova il vigile che gli ha fatto la multa: perché non va, invece, a multare quelli là ...) e conclude: "Per combattere una legge bisogna innanzitutto conoscerla. Urlare “non la voglio, perché è ingiusta” (io l'ho fatto nel referendum del 1981, quello che abbiamo perso), lascia il tempo che trova e non porta a niente, anche se ha indubbiamente alcuni vantaggi: non ci si espone in modo pericoloso, e ci si sente a posto con la coscienza".

Spero che la prof.ssa Morresi abbia letto i due post in cui inizio a dimostrare di conoscere la legge 194. Le riflessioni - come preannunciato, di tipo giuridico - che espongo di seguito sono, comunque, il sunto di un contributo a "L'aborto e i suoi retroscena", a cura di Virginia Lalli e Alessia Affinito, IF Press, 2010. Sul tema dell'aborto ho scritto anche un contributo su "Legge 194, trent'ani dopo, Gribaudi, Milano, 2008".
Torniamo al testo dell'intervista: "“Cosa ne pensa di questi tentativi di limitare la libertà del medico?” «L’attacco all’obiezione di coscienza serve per far passare l’idea che abortire è un diritto. Nella legge 194, invece, l’aborto non è considerato un diritto, ma l’ultima opzione possibile nel caso di una maternità rifiutata. Stiamo parlando del testo di legge, e non della percezione che invece si ha, dell’aborto. Attaccare l’obiezione di coscienza nei termini in cui si sta facendo in questi ultimi mesi significa affermare che chi obietta lede un diritto, quello di abortire.»
Che la legge 194 crei un diritto della donna di abortire, almeno nei primi novanta giorni, si ricava da tre considerazioni, alle quali deve essere anteposta l'osservazione che perché sorga un diritto non è necessario che la legge lo stabilisca esplicitamente.
Il primo dato è quello della depenalizzazione dell'aborto volontario che non può non richiamare il principio penalistico stabilito dall'art. 51 del codice penale secondo cui "L'esercizio di un diritto ... esclude la punibilità". In effetti, la lievissima pena prevista per la donna maggiorenne (la minorenne è in ogni caso esente da pena) non è dettata per il caso di "aborto eseguito in assenza dei gravi pericoli per la salute della donna" (come sarebbe dovuto derivare dalla sentenza della Corte Costituzionale del 1975), ma solo per l'aborto eseguito senza seguire le procedure di legge.
Il secondo dato è l'esistenza di un dovere di eseguire l'aborto a richiesta della donna. Tutti sappiamo che, se qualcuno ha un diritto, qualcun altro ha l'obbligo di rispettarlo e, se richiesto, di attuarlo e nessuno può impedire che il diritto venga esercitato. Ebbene: la legge 194 prevede, appunto, che nessuno possa impedire alla donna di abortire se lo richiede (salvo l'obbligo di aspettare sette giorni ...): né il padre del bambino, né i genitori, né i medici. Questi ultimi, come abbiamo già visto, non possono rifiutarsi di rilasciare l'attestato che, sette giorni dopo, permetterà alla donna di abortire, anche se sono convinti che le cause che la stessa "accusa" sono inesistenti. Inoltre, come scritto esplicitamente dall'art. 9, comma 4, della legge 194, gli ospedali "sono tenuti in ogni caso ad assicurare l'espletamento delle procedure e l'effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza"; quindi un obbligo della struttura, che non può rifiutarsi; e, corrispondentemente anche un obbligo dei sanitari che non hanno prestato obiezione di coscienza. In effetti, se un medico non obiettore si rifiuta di eseguire un aborto, riceve delle sanzioni (disciplinari e/o penali).
Il terzo dato è che il diritto di aborto è stato esplicitamente riconosciuto dai Giudici civili. Come è noto, sono essi quelli che riconoscono i diritti e condannano chi li ha lesi a risarcire il danno a favore del titolare. Questo avviene ripetutamente in Italia, da molti anni, e da parte della Cassazione, nel caso di donne che non hanno potuto esercitare il loro diritto ad abortire per non essere state avvisate dai sanitari delle possibili malformazioni del nascituro. In queste sentenze si parla esplicitamente di "diritto di aborto", anche con riferimento a quello compiuto nel secondo trimestre di gravidanza.

Un'ultima considerazione: una cosa è dire come la legge dovrebbe essere; un'altra è riconoscere come una determinata legge è effettivamente. L'ottica dei post - forse non del tutto compresa dalla prof.ssa Morresi - è questa: come è fatta la legge sull'aborto davvero? Contrapporre la legge 194 (una legge nazionale) ad una risoluzione del Consiglio d'Europa confonde le idee: tutti abbiamo esultato per quella risoluzione perché è una fiammella di speranza di cambiamento della legge 194.

Per ora, la legge è quella: è la stessa legge ingiusta così definita nel 1981 da Assuntina Morresi (e da me); non è cambiata. Il fatto che quel referendum sia stato perso non ha cambiato l'ingiustizia di quella legge. Molti di quei milioni di bambini uccisi per l'aborto sono stati uccisi perché abbiamo perso quel referendum.

Giacomo Rocchi

mercoledì 11 luglio 2012

Davvero l'aborto non è un diritto in Italia? Risposta ad Assuntina Morresi \2

Ripartiamo, allora, dalla risposta che Assuntina Morresi ha dato nell'intervista al sito UCCR sull'obiezione di coscienza:
«L’attacco all’obiezione di coscienza serve per far passare l’idea che abortire è un diritto. Nella legge 194, invece, l’aborto non è considerato un diritto, ma l’ultima opzione possibile nel caso di una maternità rifiutata. Stiamo parlando del testo di legge, e non della percezione che invece si ha, dell’aborto. Attaccare l’obiezione di coscienza nei termini in cui si sta facendo in questi ultimi mesi significa affermare che chi obietta lede un diritto, quello di abortire.»
Da questa frase abbiamo ritenuto che emergesse con chiarezza la posizione della Morresi sulla bontà della legge 194 e sulla inopportunità di abolirla. Nella risposta precedente l'intervistata aveva affermato anche che "Non si può essere costretti a uccidere esseri umani per legge, anche se si tratta di una legge decisa in istituzioni democratiche. La tutela dell’obiezione di coscienza è indice del rispetto della coscienza dei cittadini, indice di civiltà di un popolo e di chi lo governa": quindi la situazione attuale, in cui l'obiezione di coscienza è (ancora) tutelata dimostra che siamo un "popolo civile con governanti civili" (anche se, appunto, le istituzioni democratiche e il popolo nel referendum ha permesso l'uccisione di milioni di bambini innocenti ...).

Morresi contrappone testo di legge a percezione che si ha dell'aborto: la "gente", cioè, avrebbe una "percezione sbagliata"; crede erroneamente che ogni donna nei primi mesi di gravidanza può abortire a semplice richiesta; invece no, la legge (anzi: il "testo della legge") è tutto diverso; le donne che chiedono di abortire sono autorizzate a farlo solo in pochissimi casi, solo quando tutte le "opzioni" sono state prese in considerazione (soldi, alloggio, adozione, cure ecc.) ... non è un diritto!
Le risposte sono di due tipi (oltre ad un terzo: non ci prendete in giro!).
La prima risposta è leggere il "testo di legge" invocato dalla Morresi. La quale, peraltro, deve essersi fermata all'articolo 4, senza andare oltre; così accontentandosi del proclama iniziale secondo cui "Lo Stato ... tutela la vita umana dal suo inizio", alla definizione ipocrita secondo cui "l'interruzione volontaria della gravidanza non è mezzo per il controllo delle nascite", all'articolo "buonista" che presenta i consultori familiari come strutture che assistono la donna in gravidanza, contribuendo a far superare le cause che potrebbero indurla all'aborto, e, infine, appunto, all'articolo 4 che finge - finge! lo vedremo subito dopo - che l'aborto nei primi novanta giorni possa essere eseguito solo quando la "prosecuzione della gravidanza comporterebbe un serio pericolo per il suo stato di salute fisica o psichica, in relazione al suo stato di salute, alle sue condizioni economiche o sociali o familiari o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito".
Vedete, sembra dirci la prof.ssa Morresi? La vita umana è tutelata, la donna incinta la aiutano in ogni modo e l'aborto è permesso solo in casi specifici, mica sempre ... 


Peccato che c'è l'art. 5 ... il quale prevede che la donna che intende abortire si reca ad un consultorio o da un medico di sua scelta, dice che vuole abortire, il medico del consultorio le rilascia un "attestato" (non un certificato!) in cui dà atto che la donna ha chiesto di abortire; dopo sette giorni la donna può recarsi all'ospedale per abortire.
Le cause della richiesta della donna? Irrilevanti: qualunque sia il motivo addotto, il medico deve rilasciargli l'attestato e non ha nessuna possibilità di verificarlo.
Il medico può rifiutarsi di rilasciare l'attestato? No.
L'ospedale può rifiutarsi di eseguire l'aborto? No.
Se la donna è al quinto aborto (e, quindi, usa chiaramente l'aborto come mezzo di controllo delle nascite), i medici si possono rifiutare? No.
Se, durante il colloquio, la donna si rifiuta di ascoltare quanto il medico le dice, il medico può rifiutarsi di rilasciare l'attestato? No.
Il medico è obbligato a indirizzare la donna ad un centro di aiuto alla vita? No.
Se il medico indica alla donna un Centro di aiuto alla vita, la donna è obbligata a rivolgersi ad esso? No. Se il medico dell'ospedale sa che non esiste il motivo che la donna ha addotto, può rifiutarsi di eseguire l'aborto? No.
Il padre del bambino può impedire alla donna di abortire? No.
Il padre del bambino può interloquire sulla scelta di abortire? No.
La donna che ha abortito dopo il rilascio dell'attestato rischia qualche sanzione se ha accusato motivi inesistenti? No.

E allora: l'aborto è un diritto?
La seconda risposta è di tipo giuridico. La prof.ssa Morresi parla del testo della legge e, quindi, intende riferirsi al concetto di "diritto" in senso tecnico.
Daremo questa risposta nel prossimo post.

Giacomo Rocchi

lunedì 9 luglio 2012

Davvero l'aborto non è un diritto in Italia? Risposta ad Assuntina Morresi \1

Il meritorio sito web dell'UCCR (Unione Cristiani Cattolici Razionali) http://www.uccronline.it/ ha avviato una campagna a difesa dell'obiezione di coscienza dei medici per contrapporsi all'attacco sempre più violento orchestrato dalla famigerata Consulta di Bioetica. La campagna si intitola: "L'obiettore è un buon medico" (mi permetterei di aggiungere: l'obiettore è un buon infermiere, un buon operatore socio-sanitario, un buon farmacista).
Consiglio vivamente di accedere a questo sito, davvero pieno di contenuti e fedele all'impegnativo nome che si è dato.

L'UCCR ha intervistato, tra gli altri, Assuntina Morresi, che non ha mancato di riproporre la sua visione della legge 194. Riportiamo il passo (l'intervista completa è al seguente link: http://www.uccronline.it/2012/06/28/lobiettore-e-un-buon-medico-parla-assuntina-morresi/):

“Cosa ne pensa di questi tentativi di limitare la libertà del medico?” «L’attacco all’obiezione di coscienza serve per far passare l’idea che abortire è un diritto. Nella legge 194, invece, l’aborto non è considerato un diritto, ma l’ultima opzione possibile nel caso di una maternità rifiutata. Stiamo parlando del testo di legge, e non della percezione che invece si ha, dell’aborto. Attaccare l’obiezione di coscienza nei termini in cui si sta facendo in questi ultimi mesi significa affermare che chi obietta lede un diritto, quello di abortire.»

Il giudizio di Assuntina Morresi sulla legge 194 di legalizzazione dell'aborto è noto: "Una buona legge, una delle migliori leggi sull'aborto nel mondo" (Tempi, 29/11/2007).

Scopriamo, allora, che la giusta battaglia per la difesa di questo diritto fondamentale degli operatori sanitari, una battaglia da cui non ci si può astenere, rischia di nascondere i dissensi che all'interno del mondo cattolico italiano, e anche del mondo prolife, esistono. Farli venire alla luce in maniera razionale non dovrebbe certo  intimorire un sito che - giustamente - si richiama alla razionalità del cristianesimo.

Inizio da una domanda provocatoria: la battaglia per la difesa dell'obiezione di coscienza è un'azione a difesa della legge 194? A leggere Assuntina Morresi sembra proprio di si: questa legge, oltre ad essere "una delle migliori del mondo" e a permettere l'uccisione del bambino solo come "ultima opzione possibile", ha anche previsto il diritto all'obiezione di coscienza dei sanitari, mostrandosi, così illuminata, democratica, rispettosa delle opinioni di tutti e della libertà religiosa e di coscienza.
Quindi: Viva la 194?

Non è che la Morresi vede questa azione come una delle battaglie di retroguardia che hanno caratterizzato la parte prevalente della politica cattolica nell'ultimo decennio? Consentiamo la produzione in vitro dell'uomo pur di evitare il "far west della provetta" e la fecondazione eterologa; sosteniamo l'astensione al referendum sulla legge 40 per sommare ai nostri pochi voti la massa degli astensionisti; lottiamo contro l'aborto chimico (RU486) perché l'aborto chirurgico (cioè la macellazione del bambino, invece del suo avvelenamento) è più sicuro per la salute della donna; facciamo la legge sul testamento biologico che permetterà (anche se non si può dire) l'eutanasia, perché altrimenti la decidono i Giudici; e ora: fate pure gli aborti, ma lasciateci la libertà di non farli?

Oppure l'obiezione di coscienza deve essere vista come una previsione doverosa da parte di uno Stato che, nel 1978, aveva compiuto la scelta più abietta: permettere l'uccisione dei bambini innocenti?
Si può combattere per l'obiezione di coscienza dei sanitari senza ribadire che la legge che ha consentito di sterminare cinque milioni e mezzo di bambini è integralmente iniqua, è una "non legge" dal punto di vista del diritto naturale?

Ecco che quella frase lasciata cadere dalla Morresi nell'intervista all'UCCR non è per niente casuale. La frase è una presa di posizione implicita, ma "pesante": la legge 194 non si tocca, non si deve modificare: e ciò viene affermato chiaramente contro chi, nel mondo cattolico e prolife, non si stanca di ribadire la iniquità di questa legge, tanto da immaginare un'iniziativa referendaria.
Come è noto, questo è la posizione pregiudiziale per essere ammessi al tavolo del potere in Italia. Se parli di abolire la 194, sei fuori; se premetti che non intendi modificarla ... vieni, possiamo parlare e vedere cosa fare insieme.

Ecco perché, nel prossimo post, vedremo come, al contrario, sì: la legge 194 considera l'aborto volontario - cioè la volontaria soppressione di un essere umano - un diritto; anzi, un diritto pieno e potestativo, il cui esercizio è rimesso alla semplice volontà della donna.

Giacomo Rocchi

venerdì 6 luglio 2012

La Corte Costituzionale e il pendio scivoloso

Abbiamo affermato che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 27 del 1975 sull'aborto, etichettando il nascituro con il marchio di "non ancora persona, persona che deve ancora diventare", fu il primo giudice in Italia a negare l'uguaglianza tra tutti gli uomini e la dignità di ogni essere umano: in questo seguendo la Corte Suprema americana che, due anni prima, aveva affermato che, in mancanza di vitalità del feto - cioè di capacità autonoma di sopravvivenza al di fuori del corpo materno - esso non era ancora persona e, quindi, la donna aveva il diritto di ucciderlo in nome della suaprivacy.

Quali conseguenze sono derivate da questa pronuncia? Poiché essa proveniva proprio dal Giudice supremo, posto dalla Costituzione a tutela dei diritti inviolabili, ad essere stato spazzato via è proprio il presupposto su cui un Paese civile pretende di fondarsi. Nel passato vi erano stati altri "uomini non persone": gli schiavi, in alcuni luoghi le donne o i bambini, nell'epoca buia del nazismo ebrei e altre "categorie" di uomini ... pensavamo di esserne usciti, credevamo che l'umanità avesse fatto un passo in avanti dopo avere sofferto le atrocità della seconda guerra mondiale.
Quella sentenza - quelle poche parole - dimostrava il contrario; dimostrava, fra l'altro, che la distinzione degli uomini tra persone e non-persone è strettamente legata alla morte procurata di questi ultimi: sono non-persone, quindi possono essere uccisi ...

Ma se questo ha detto e fatto la Corte Costituzionale, le applicazioni non potevano che estendersi ad altri casi. Si pensi alla legge 194: si sa che rende l'aborto nei primi 90 giorni assolutamente libero e condiziona l'aborto nel periodo successivo al rilascio (che nei fatto avviene sempre) di un certificato medico. Perché questa distinzione? Forse che nel bambino che cresce nel grembo della madre avviene qualcosa allo scoccare di novanta giorni? E perché 90 e non 120? Il criterio è assolutamente arbitrario, così come la decisione della Corte Costituzionale non si giustificava in nessun modo.

E così, in questi 35 anni, abbiamo assistito all’ipocrita, continuo, richiamo da parte di leggi e Giudici ai diritti fondamentali dell’uomo, richiamo effettuato proprio per ottenere l’effetto opposto: negarli.

Quindi: se la legge 194 proclama di “tutelare la vita umana dal suo inizio”, ma ne permette la soppressione, la legge 40 sulla fecondazione artificiale addirittura riconosce il concepito come “soggetto di diritti”, ma insieme ne permette la produzione in serie, la “cosificazione”, la morte prevista e pianificata, il congelamento.
E ancora una volta nessun limite o paletto è effettivo: che senso ha produrre al massimo tre embrioni – e con questo limite già muoiono, certificati dalla Relazione Ministeriale, almeno 70.000 embrioni l’anno – se il benessere psicofisico della donna può essere meglio soddisfatto? E perché limitare i casi di congelamento: se si introduce il principio che, di per sé, l’embrione si può congelare (principio esplicitamente affermato dalla legge 40: sempre con il solito metodo dell’eccezione: è vietato il congelamento, salvo che…), vuol dire che congelare gli embrioni non è un male. Come stupirsi che la stessa Corte Costituzionale abbia permesso nuovamente la sovrapproduzione degli embrioni e il congelamento degli embrioni in eccesso?

E così ancora non suona sinistro il richiamo all’articolo 2 della Costituzione presente nella proposta di legge sul testamento biologico approvato dalla Camera? “La presente legge, tenendo conto dei principi di cui agli artt. 2, 13 e 32 della Costituzione … riconosce e tutela la vita umana, quale diritto inviolabile ed indisponibile, garantito anche nella fase terminale dell’esistenza e nell’ipotesi in cui la persona non sia più in grado di intendere e di volere …”.
Non sembra quasi una excusatio non petita? Ecco due categorie di uomini da sistemare: i pazienti terminali e i soggetti non più in grado di intendere e di volere …
Puntuali, emergono limiti alle cure che possono essere prestate, poteri attribuiti ai tutori o ai genitori di minori di rifiutare per loro conto le cure, anche salvavita, introduzione del testamento biologico senza nessuna garanzia di una effettiva libertà di scelta da parte del soggetto, norme di salvaguardia per i medici che vogliono avere le mani pulite e di minaccia nei confronti di quelli che vogliono rispettare il Giuramento di Ippocrate …

E, per scendere alle pronunce giudiziarie, come sorprendersi dell'ipocrisia della sentenza della Cassazione del 2007 che permise la successiva uccisione di Eluana Englaro, che si giustificava sulla base di un’istanza personalistica? L’attribuzione al tutore del potere di morte sull’interdetta costituiva, secondo quella pronuncia, “estremo gesto di rispetto del malato in stato vegetativo permanente”!
E i giudici, per mettersi in pace la coscienza, chiudevano quella sentenza ribadendo il principio generale della “incondizionata prevalenza del diritto alla vita, indipendentemente dal grado di salute, di autonomia, di capacità di intendere e di volere del soggetto interessato e dalla percezione che altri possano avere della qualità della vita”, ben sapendo che Beppino Englaro avrebbe ucciso la figlia proprio per la percezione che aveva della qualità della vita di Eluana ("mia figlia è morta il giorno dell'incidente")!

Ecco che - seguendo l'oscuro esempio della Corte Costituzionale - i principi affermati diventano pura forma e vengono invocati per ottenere l'esatto contrario di quanto affermano. La legge e il giudizio diventano, così, arma nelle mani dei soggetti forti che vogliono schiacciare quelli più deboli: gli embrioni, i soggetti incoscienti, non li difende nessuno, non hanno voce in capitolo, non ci sono; la loro uccisione è diventata una questione privata.

Siamo giunti al fondo? Non credo davvero. 
Si pensi ai tentativi, anche a livello ministeriale, di introdurre regole che permettano - o impongano - di non curare i neonati disabili; o agli attacchi sempre più forti e aspri contro l'obiezione di coscienza dei professionisti sanitari che non vogliono uccidere ("Facciano un altro mestiere!").  
La Corte Costituzionale riuscirà a comprendere la responsabilità che grava su di essa e il compito che le viene chiesto?

Giacomo Rocchi

mercoledì 4 luglio 2012

Commento dell’ennesimo rifiuto della Corte Costituzionale a “entrare nel merito” della legge d’aborto

A commento dell’ennesimo rifiuto della Corte Costituzionale a “entrare nel merito” della legge d’aborto, il ministro per la salute R. Balduzzi ha sostenuto che “in quanto legge dello Stato deve essere applicata in tutte le sue parti”. Poiché – si sottintende – quella sua completa attuazione avrebbe almeno ridotto la milionaria strage degli innocenti; la tesi politically correct di moda in un certo mondo pro-life, che giunge perfino ad una eminente lettura della 194, la cui ratio, udite udite, sarebbe proprio evitare la ivg.. Se con questo il ministro intende che finora questa completezza non sarebbe stata attuata, ci si aspetterebbe quantomeno che – da ministro – dica di chi sarebbe la responsabilità e come intenderebbe operare per ovviare a questa carenza del potere esecutivo.

Ma è poi proprio vero che non è stata applicata come si deve? Proviamo a vederlo da vicino. Leggiamola: “ Art.4. Per la interruzione volontaria della gravidanza entro i primi novanta giorni, la donna consultorio pubblico, o ad una struttura socio-sanitaria abilitata, o a un medico di sua fiducia”. Poi cosa accade: “Art.5. Il consultorio e la struttura socio-sanitaria hanno il compito in ogni caso (………..) di esaminare con la donna (………) le possibili soluzioni dei problemi proposti, di aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza (………..) offrendole tutti gli aiuti necessari (…)”. Lo stesso per il medico di fiducia.

E’ chiaro che l’integrale applicazione della legge consiste nelle applicazione di questa procedura. Al termine della quale si dànno due casi: o la donna, che si era presentata “per l’ ivg”, persuasa dalle spiegazioni e dagli aiuti, rinunzia: meno male!

Oppure conferma la “richiesta di ivg”.In questo caso, “viene rilasciata alla donna copia di un documento”, col quale può ottenere l’aborto dal Servizio sanitario.

Saprebbe allora dirci il ministro quante sono state le visite delle donne per l’ivg e quanti gli aborti autorizzati? E si è mai avuto notizia di proteste di donne che non (……………)si rivolge ad un avrebbero avuto quanto si aspettavano dalla legge e dalla sua completa attuazione?

Siamo seri! A fronte dei cinque milioni e passa di aborti per fare i quali è stato chiesto l’aiuto dello Stato, cosa significano i 150.000 salvati dal volontariato pro life, se non che, quando davvero si vuole e si chiede, l’aiuto per non uccidere il figlio si trova. Siamo seri!

E realisti. E’ stato osservato che il comodo rifiuto (da parte della donna ma anche del maschio) del figlio scomodo è ormai una triste realtà di costume, di cultura. Per combatterla è perciò indispensabile un rinnovamento decisivo della strategia pro-vita, che anzitutto si tiri fuori dall’attuale rifugio politically correct del “rispetto della scelta” e argomenti connessi, che finisce tra l’altro per scaricare tutti i pesi sulle donne e la loro dignità, come se gli uomini che quei figli generano non c’entrassero per nulla.

E se persino la suprema Corte non può o non vuole far dire alla Costituzione che l’inviolabile diritto alla vita nasce con l’essere umano nel suo concepimento, allora spetta al popolo ricorrere agli strumenti che la stessa Carta gli affida per cancellare l’ingiustizia e sostituirla con leggi interamente rispettose del diritto alla vita dal concepimento, della preziosa dignità della donna e della maternità. E se sarà necessario, per cambiare la Carta e le regole per il funzionamento della Corte.

E infine è ormai urgente ripensare e promuovere anche una moderna ed efficace politica di sostegno della famiglia naturale – per la quale non mancano esempi incoraggianti sotto l’aspetto fecondità in Paesi a noi simili – nel quadro di una intelligente strategia di salute demografica. Indispensabile anche per superare la grave crisi economica in atto e salvare dal declino e dal disfacimento la nazione, la sua cultura, la sua civiltà.

Mario Paolo Rocchi

martedì 3 luglio 2012

"Il buon medico non obietta"


I promotori della campagna "Il buon medico non obietta" non capiscono che il medico sa benissimo cosa succede quando maneggia la cannula dell’aspiratore Karman introdotta nell’utero della donna in anestesia locale.
Non sanno che ci vuole una certa forza per staccare il feto dalla parete uterina, e che bisogna fare dei movimenti avanti e indietro, da destra a sinistra, dall’alto in basso. Il feto non si stacca facilmente e quindi occorre fare movimenti energici, tanto che anche il corpo della donna si muove un poco. Il medico avverte bene cosa passa attraverso la cannula del Karman, sotto forma di pezzi abbastanza consistenti. Non sanno che alla fine il medico con una specie di pinza entra nell’utero per estrarre i pezzi più grandi, fra i quali la testa del povero feto. Non hanno mai scoperchiato il bidone attaccato all’aspiratore dopo una mattinata di aborti, e non hanno mai visto le gambine, le braccia, le manine tutte ammassate. Loro non sanno, ma il medico si.
E si lamentano e urlano perché quasi nessuno vuole praticare gli aborti ? Ma un medico è un medico!  Faranno una precettazione obbligatoria?
Ai paladini dell'aborto come diritto bisognerebbe fare vedere il video “Il grido silenzioso” del dottor Nathanson, il famoso ginecologo abortista che dopo aver visto un aborto sotto ecografia diventò convinto pro life.
Nessuna intenzione offensiva, ma per far capire forse occorre dire proprio tutto. Tanta ostinazione può essere smossa (forse) con la semplice realtà.
Ma sotto questa ostinazione c'è di più. L'aborto concesso e fatto fare agli altri serve per confermare  a tutti i costi una ideologia che per gli abortisti è simile ad una "religione". Non è più un argomento per la sovrapopolazione, per ovviare a certe povertà, per la salute della donna, per le gravidanze in giovane età: è proprio la contrapposizione ad un'idea. Per questo si battono anche contro l'evidenza, confortati dal fatto che sono molti a pensarla così. E dato che sono in molti a pensare che l'aborto deve diventare un diritto loro credono che basti essere in tanti a chiedere la stessa cosa per sostenere che sia "giusta". Più sono risucchiati in questo vortice, che loro stessi hanno avviato, più non capiscono e si meraviglino che altri si contrappongano. Inoltre non riescono più a "tornare indietro" perchè significherebbe sconfessare tutti gli anni passati a difendere l'aborto e, ancor più doloroso, provare terribili sensi di colpa. Il dottor Nathanson si fermò in tempo e riuscì. Ma ammise i suoi torti e amaramente sconfessò le sue idee. Si liberò dal macigno e visse gli ultimi anni in pace perchè testimoniò la verità. I medici obiettori sanno che la loro salute psichica e morale è un grande valore anche per altri e sanno anche che sono loro i veri "amici" delle donne.

Gabriele Soliani

domenica 1 luglio 2012

La Corte Costituzionale in fuga dalla propria colpa d'origine

Abbiamo visto come sia sancito, nero su bianco, nella Relazione del Ministro della Salute, che in Italia, l'aborto nei primi novanta giorni non è regolato così come aveva prescritto la Corte Costituzionale con la famosa sentenza n. 27 del 1975: l'aborto è permesso per qualunque motivo, a semplice richiesta della donna, senza alcun accertamento sul grave pericolo per la sua salute derivante dalla prosecuzione della gravidanza: è un diritto potestativo.
Perché, allora, la Corte Costituzionale si rifiuta di prenderne atto e di dichiarare l'illegittimità costituzionale della legge 194?
Il fatto è che quella sentenza del 1975 era un concentrato di ipocrisia e la legge altro non è che la sua inevitabile applicazione.
Come sappiamo, la Costituzione, all’articolo 2, “riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”. “Riconosce”:  i padri costituenti sapevano bene di non dovere e potere creare i diritti dell’uomo e nemmeno di poterne graduare l’attribuzione ai vari soggetti, ma di avere l’obbligo di prendere atto che tali diritti preesistevano allo Stato e che lo Stato doveva semplicemente garantirne l’attuazione.
Non vi era necessità di menzionare espressamente i singoli diritti inviolabili: essi discendono dalla comune appartenenza al genere umano, sono diritti inviolabili dell’uomo.

Ma se la Costituzione prevede un sistema di controllo della conformità delle leggi alla stessa Costituzione – la Corte Costituzionale, le questioni di costituzionalità – chi garantirà la conformità ai diritti inviolabili dell’uomo? Come fa uno Stato a mantenersi fedele alla missione che i padri costituenti gli attribuirono?

E' stata appunto la Corte Costituzionale ad introdurre un primo “distinguo”, una prima eccezione al puro e semplice riconoscimento dei diritti inviolabili: “Ritiene la Corte che la tutela del concepito abbia fondamento costituzionale. Più in generale, l'art. 2 Cost. riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, fra i quali non può non collocarsi, sia pure con le particolari caratteristiche sue proprie, la situazione giuridica del concepito … Ora non esiste equivalenza fra il diritto non solo alla vita ma anche alla salute proprio di chi é già persona, come la madre, e la salvaguardia dell'embrione che persona deve ancora diventare” (sentenza n. 27 del 1975).
Ecco che l’articolo 2 della Costituzione diventa pietra d’inciampo, un passaggio scomodo che comunque, si può aggirare; il “riconoscimento” e la “garanzia” vengono ribaditi, ma senza dimenticare “le particolari caratteristiche proprie” del concepito.

Ma i diritti inviolabili dell’uomo non si possono prendere a pezzi: o li riconosco, o li nego. E nel 1975 la Corte Costituzionale – con un’ipocrisia davvero profetica – li negava con poche, pesantissime parole: “l’embrione che persona deve ancora diventare”.
I diritti non sono più dell’uomo; sono degli uomini cui viene riconosciuto lo status di persona. Gli uomini non sono più tutti uguali.
E la sentenza del 1975 contiene un’altra caratteristica che conosciamo bene: l’assoluta arbitrarietà del criterio di discriminazione.
Perché l’embrione non è persona? Perché ha minori diritti degli altri uomini? La Corte Costituzionale non lo spiegava affatto, semplicemente lo affermava.

Il Giudice delle leggi è stato il primo – ma non l’ultimo – Giudice a negare a degli uomini la loro dignità intrinseca: e così ha dato il via a quella rincorsa dissennata tra Giudici e Legislatore a negare sempre più i diritti inviolabili; e a farlo sempre fingendo di voler rispettare e garantire quei diritti inviolabili che di fatto venivano negati.

Rileggiamo, allora, l'altro passo di quella sentenza: “…ritiene anche la Corte che sia obbligo del legislatore predisporre le cautele necessarie per impedire che l'aborto venga procurato senza seri accertamenti sulla realtà e gravità del danno o pericolo che potrebbe derivare alla madre dal proseguire della gestazione: e perciò la liceità dell'aborto deve essere ancorata ad una previa valutazione della sussistenza delle condizioni atte a giustificarla”.
Vedete? La Corte, dopo avere spazzato via con quattro parole il diritto alla vita del bambino, pretendeva di dettare le regole, sentiva la necessità di riempire quel vuoto che prima era riempito da una sola norma: “la vita di ogni uomo è sacra”.
Ma era ovviamente un tentativo velleitario: e infatti, tre anni dopo, con la legge 194, il legislatore ha reso l’aborto sempre libero, con l’assenza di un accertamento medico, senza che la Corte Costituzionale (nonostante ne avesse avuto la possibilità) ne abbia affermato la incostituzionalità.

Sorprende questa evidente debolezza? Niente affatto: se il bambino era un minus di un uomo, non può che soccombere sempre agli interessi degli adulti.

La Corte Costituzionale, per pronunciarsi sulla legge 194, dovrebbe ammettere che la propria sentenza n. 27 del 1975 era sbagliata: di più, che era ingiusta ed iniqua, esattamente come la legge che l'ha applicata.

Giacomo Rocchi