domenica 27 novembre 2011

Educazione vs legislazione: riflettiamo ancora

Un prolife intransigente è inevitabilmente un rompiscatole. Quando i sottosegretari dicono che gli aborti sono diminuiti, salta su a ricordare i sei milioni di bambini uccisi con l'aborto legale e con quello clandestino e gli embrioni eliminati con le "pillole che uccidono"; quando un quotidiano cattolico magnifica i successi di una tecnica particolare di fecondazione in vitro, ricorda il numero di embrioni morti o congelati che conseguono anche a questa tecnica; quando gli ambienti cattolici ufficiali spingono per l'approvazione di una legge che proclama l'inviolabilità della vita, sostiene pubblicamente che si va verso l'eutanasia legale e che si rischia di ripetere il caso Englaro ...
Un prolife intransigente, in Italia, non ha amici: forse perché molti di quelli che, come lui, vogliono difendere la vita, fanno finta di non conoscerlo e sembrano ignorare le sue prese di posizione (che pure cerca di argomentare); ma quando alza un po' la voce e fa polemica, gli dicono che non è il modo di fare, che avresti potuto parlare direttamente con lui, e che - diamine! - ne viene fuori un quadro non bello, che figura ci facciamo ...
Un prolife intransigente, in Italia, non conta nulla: non ha niente da perdere, finanziamenti da ottenere, cariche da conquistare o da mantenere; è fuori dai "giochi importanti", non partecipa ai gruppi che contano, non conosce le dinamiche dei gruppi ufficiali: insomma, non conosce il contesto.
Un prolife intransigente si occupa anche di leggi: non perché gli piaccia particolarmente, ma perché sa che una legge ingiusta ha permesso l'uccisione di milioni di bambini innocenti e un'altra consente la morte programmata di decine di migliaia (per ora) di embrioni; sa che queste leggi nascondono la loro essenza dietro proclami ipocriti; sa che queste leggi fanno "cultura"; teme che altre leggi permetteranno l'uccisione di altre persone ... Ma questo occuparsi di leggi lo rende ancora più scostante, spigoloso, talvolta petulante ("viene a parlarci di quel certo comma ... non gli basta che al primo articolo abbiamo piazzato: "La vita è indisponibile?").
Insomma: un caso pietoso! Sempre a ripetere: "valori non negoziabili!", "leggi ingiuste!", "bambini uccisi!"; sempre a puntualizzare, precisare, dissentire ...

Fatto questo quadro, torniamo a parlare dei due articoli di Carlo Bellieni sulla Bussola Quotidiana e, perché no?, dei nostri due commenti, che hanno suscitato qualche reazione negativa. Che Bellieni non sia stato un esempio di chiarezza, sembra confermarlo l'articolo di Francesco Agnoli ("Le leggi e la cultura") che vi abbiamo segnalato: Agnoli sostiene che per capire il contenuto "occorre fare uno sforzo: contestualizzare"; poi interpreta un "non detto" di Bellieni: "Non ha neppure scritto, ma certi sottintesi si possono intuire, che la legge in questione oggi, quella sul testamento biologico, non è poi così opportuna". Insomma, per capire fino in fondo cosa voleva dire Bellieni, ci volevano sforzo e intuizione ...
Affronteremo subito il contenuto dei due articoli: prima, però, una domanda: perché l'articolo di Bellieni è coraggioso? Agnoli premette: "Carlo Bellieni è uno dei 5 membri del Direttivo di Scienza e Vita". Quindi - se ho capito bene - l'articolo sarebbe coraggioso perché l'autore avrebbe fatto intendere il suo fastidio rispetto all'invito a Bersani/Casini/Alfano, avrebbe sottolineato che "certamente c'è dell'altro"; ma lo avrebbe fatto concludendo il suo articolo con l'affermazione che "dal convegno di Scienza e Vita coi politici usciamo rafforzati" e ricordando che "oggi nella Chiesa c'è chi dialoga sapientemente di leggi con gli Alfano, Bersani, Casini", contrapponendo piuttosto il contenuto della seconda giornata del Convegno di Scienza e Vita (quella in cui "le associazioni locali di S&V hanno mostrato cosa sia il lavoro quotidiano, la bellezza e l'eroismo di chi cura e la bellezza e l'eroismo di chi viene curato") alla prima (quella in cui erano intervenuti i politici).
Mah ... tempo fa abbiamo sentito rumore di porte sbattute in Scienza e Vita. (Comunque: se esprimere il dissenso rispetto a S&V e ai vertici della CEI su scelte "laiche" significa essere coraggiosi, qualcuno potrebbe considerarci degli eroi ...).

Ma appunto: passiamo al contenuto dei due articoli e dei nostri commenti. Un dato è chiaro: né Bellieni, né i nostri commenti hanno mai affermato che servono solo le leggi o, al contrario, solo la battaglia culturale. Nel primo commento scrivevamo: "In definitiva: serve davvero una nuova evangelizzazione; serve alzare la voce - come fa egregiamento Bellieni - per mostrare le conseguenze negative delle presunte conquiste etiche; ma serve - e tanto - anche una battaglia a viso aperto contro l'ingiustizia delle leggi (prima fra tutte l'iniqua legge sull'aborto)".
In nessun punto del nostro commento abbiamo fatto dire a Bellieni (i cui articoli integrali sono stati richiamati con l'apposito link e dei quali ampi passi sono stati riportati letteralmente) cose che non aveva detto: abbiamo però sottolineato che nel pensiero di Bellieni (ovviamente quello espresso nell'articolo, non quello sottinteso) era evidente una scala di priorità (prima l'educazione e la fede, poi le leggi) e, insieme, una visione che tiene distinte le due questioni, tanto da poter affidare a "pochi" la questione legislativa. In altre parole: la sottovalutazione della efficacia culturale (positiva o negativa) delle leggi, giuste o ingiuste; e insieme la negazione della valenza culturale delle battaglie per le leggi giuste o contro le leggi ingiuste. Nell'articolo del 12/10/2011 ("Bioetica e morale, cristiani normlizzati") vi era una frase davvero significativa: "sarebbe il caso di riprendere ad educare invece di pensare solo all'ufficialità delle leggi". Certo: una frase che ribadiva che "per rendere etica una società si passa anche dalle leggi" (come Bellieni scrive nel secondo articolo), ma che raffigurava la legge come qualcosa di "ufficiale", per la quale il lavoro di "perfezionare" sembra vano ("forse i buoi sono già scappati") e di cui comunque Bellieni non è particolarmente interessato (come indica il fatto che di leggi - ed in particolare del progetto di legge sulle DAT - non ne parla, tanto che il suo pensiero sul punto si deve intuire: "invece").
Il prolife intransigente ha fretta, sente l'urgenza: sarà forse vero, come ritiene Francesco Agnoli, che "in una società profondamente corrotta le leggi buone non sono applicabili, mentre in una società sana certe leggi disumane non nascono" e che "non potremmo mai sconfiggere, così, con una bacchetta magica, l'aborto legale" senza rieducare ai valori del "pudore, fedeltà, senso dell'onore, della responsabilità, della famiglia, del peccato"; ma è difficile rinunciare ad una battaglia di popolo per salvare - anche con la legge civile - la vita di quei bambini che ogni giorno vengono soppressi o di quegli embrioni che vengono prodotti; o per impedire che quei neonati o quegli anziani vengano fatti morire nel futuro.
Una battaglia di popolo, sì (e qui siamo proprio d'accordo con Bellieni nel valutare l'invito ai VIP della politica): come fu quella del referendum contro la legge 194 e prima ancora quella per l'approvazione della proposta di legge di iniziativa popolare del Movimento per la Vita che raccolse milioni di firme. Il fatto è che far comprendere al popolo l'ingiustizia e l'ipocrisia di certe leggi, svelare quello che esse davvero permettono, coinvolgerlo nella battaglia democratica su di esse, non è affatto tormentarlo con questioni formali: è una battaglia che fa cultura e mostra la malvagità di certi atti e la necessità di impedirli.
Bellieni vuole dare il suo contributo anche a questa battaglia?

Giacomo Rocchi

venerdì 25 novembre 2011

Educazione vs. legislazione /2



Francesco Agnoli interviene sull'articolo di Carlo Bellieni che abbiamo commentato con il post precedente. Cliccate sul titolo e sarete indirizzati all'articolo.



Riprenderemo il tema nei prossimi giorni.



Giacomo Rocchi

martedì 22 novembre 2011

Bellieni: Educazione vs legislazione?




Sulla Bussola Quotidiana Carlo Bellieni ritorna sul tema dell'educazione e della necessità di fare buone leggi (cliccando sul titolo si accede all'articolo). Già in un precedente articolo, che avevamo commentato sul post "I contenuti della battaglia prolife", scriveva: "I cristiani sono stati assimilati, magari consolati da qualche legge che fa ancora da argine alle derive in campo bioetico; ma mentre perfezioniamo le leggi, forse i buoi sono già scappati, e sarebbe il caso di riprendere ad educare invece di pensare solo all’ufficialità delle leggi".
Nell'articolo di oggi, a commento del Convegno di Scienza e Vita che ha visto la presenza di politici nazionali, la riflessione si approfondisce e i toni diventano più forti. Viene chiamato esplicitamente in causa il fronte prolife:



"Alfano, Bersani e Casini e Scienza e Vita: un colloquio in cui è chiaro che la società vuole etica e che loro lo capiscono; che per rendere etica una società si passa anche dalle leggi (...) Ora è il caso di domandarci se questo basta. Cioè se quello che davvero occorre alla gente è solo il dialogo con i vertici della politica. E se davvero basta fare “buone leggi” per fare crescere un popolo. Probabilmente c’è dell’altro. Certamente c’è dell’altro. Perché fare buone leggi non serve a niente se la gente è convinta che siano leggi cattive e i maitre à penser finiscono per mostrarle come una soverchieria. (...) Insomma: non basta fare gli autovelox per ridurre i morti sulle autostrade: bisogna educare. I primi cristiani non si misero a chiedere all’Imperatore che facesse
una legge per vietare i giochi omicidi nei circhi, o l’infanticidio: semplicemente costruirono una cultura che non li prevedeva, che mostrava che erano bestialità. San Benedetto costruì l’Europa non domandando ai barbari di smettere di fare stragi, ma costruendo i monasteri, rendendo l’Europa disseminata di luoghi di salvezza. (...) San Benedetto e San Paolo non rifuggivano dai politici di allora; e anche oggi nella Chiesa c’è chi direttamente dialoga sapientemente di leggi con gli Alfano, Bersani, Casini. Ma
c’è anche chi, inoltre, costruisce cultura, chi mostra al popolo la bellezza della vita, chi crea case famiglia, luoghi d’accoglienza, banchi alimentari, e vuole rendere questo cultura; questa è ora la strada da aprire".
Sono riflessioni importanti che devono essere prese in considerazione. A queste Bellieni aggiunge altre che riguardano la sproporzione delle forze in campo:
"Già, i maitre à penser sono quelli che contano sui giornali, in TV, quelli che
danno il “la” all’opinione pubblica, quelli che fanno la cultura di un popolo. E
con la loro artiglieria, il fronte pro-life cosa oppone? Siamo di fronte ad
un’asimmetria, ad un braccio di ferro fatto tra un omone di due metri e un bambino (anche se il bambino apparentemente non è sprovveduto e disarmato, il che visti gli esiti è anche peggio). Da una parte l’artiglieria pesante dei massmedia, dei Vip (dalle soubrette ai presentatori Tv: ricordate le cento facce di Vip che campeggiavano sulla copertina di un settimanale alle soglie del referendum sulla legge 40 invitando a votare SI?); dall’altra… qualcosa che evidentemente non incide sulla cultura, sul modo di decidere della gente"



Una domanda a Bellieni: quando si impegna a rianimare e curare un neonato prematuro, ha in mente la cultura che circonda questa "categoria" di pazienti oppure vuole soltanto salvare la vita del suo piccolo paziente? La battaglia prolife non si giustifica soltanto con lo scopo di "fare cultura", di cambiare la mentalità della gente: essa è doverosa innanzitutto per lo scopo di salvare la vita di quei bambini che stanno per essere uccisi, di quegli embrioni che stanno per essere prodotti e congelati, di quei disabili che potrebbero essere lasciati morire di fame e di sete o non curati. Abbiamo in mente ciascuno dei sei milioni di bambini abortiti, così come abbiamo cercato di salvare la vita di una disabile, Eluana Englaro!

E allora veniamo alle leggi e alla battaglia sulle leggi: Bellieni dice che fare buone leggi può risultare inutile: è inutile anche abrogare le leggi ingiuste, che permettono i massacri degli innocenti? Se l'obbiettivo è quello di ridurre il numero degli innocenti uccisi o lasciati morire (è questo l'obbiettivo dei movimenti prolife, come per un medico è quello di salvare la vita dei suoi pazienti), vietare l'aborto volontario ed abrogare l'iniqua legge che lo permette a semplice richiesta è davvero inutile? E vietare la fecondazione extracorporea ed abrogare l'ingista legge che la consente, ridurrebbe il numero degli embrioni morti o congelati o sottoposti a diagnosi preimpianto?

Bellieni, poi, mostra di non credere che davvero la legge possa "fare cultura", cioè contribuire in maniera rilevante (anche se non esclusiva) a permeare la mentalità del popolo; temo che sottovaluti la questione. Non sto sostenendo che l'educazione (soprattutto quella cristiana) non serva: ma che l'esistenza di leggi ingiuste nell'ordinamento civile ostacola e a volte impedisce una corretta educazione.
Quale è l'esito della posizione di Bellieni rispetto al tema delle leggi giuste e ingiuste? Posso esprimere una sensazione? La questione viene delegata ad altri; altri si occuperanno dei rapporti con i politici; e - poiché la delega è totale e gli "altri" sono stati scelti all'interno della Chiesa - le loro azioni sono per definizione giuste ("nella Chiesa c'è chi dialoga sapientemente di leggi"). L'atto di fede di Bellieni in questi politici cattolici sembra assoluto, tanto che ancora la legge 40 (quella che afferma: "è consentita la procreazione medicalmente assistita" e che poteva invece statuire: "è vietata la fecondazione extracorporea"...) è presa come punto di riferimento. E' sicuro Bellieni che quel dialogo sulle leggi sia sapiente? Davvero sulle leggi che possono permettere o vietare l'uccisione di embrioni, bambini e pazienti, egli vuole lavarsene le mani?
Giacomo Rocchi

P.S.: L'infanticidio fu vietato per legge per la prima volta dall'imperatore Costantino; il divieto per legge fu rafforzato dall'imperatore Giustiniano. Costantino vietò per legge anche i giochi gladiatori (il divieto fu reso definitivo da Onorio)

venerdì 18 novembre 2011

Perché l'obiezione di coscienza è un problema?



Non è certo una novità: l'obiezione di coscienza dei sanitari (medici, infermieri, farmacisti) è scomoda.


Come mai tanti professionisti - proprio quelli che conoscono il meccanismo della generazione umana, le tecniche abortive, l'efficacia dei farmaci - si rifiutano di prestarsi agli interventi previsti dalla legge 194 o di vendere pillole che provocano (o possono provocare) la morte dell'embrione? Il fatto è che l'aborto uccide un essere umano e le pillole di uno o cinque giorni dopo sono "pillole che uccidono".


Questo Chiara Lalli, intervistata da Repubblica in relazione al suo saggio da poco pubblicato (cliccando sul titolo si accede all'articolo), non ve lo dice: nell'intervista nessun accenno viene fatto sulle vittime delle pratiche per le quali i professionisti sanitari oppongono l'obiezione di coscienza.

Anzi sì. Leggiamo il passo finale: "Dunque un'espressione usata a sproposito, quella di obiezione di coscienza, che finisce spesso per creare una contrapposizione diretta tra i diritti di singole persone: medici e pazienti. Anche se non è sempre così: l'obiezione è prevista anche per la sperimentazione suglia animali, "dove però non si crea un conflitto diretto tra diritti individuali, come in ambito sanitario". Abbiamo capito bene: la differenza tra la sperimentazione animale e l'aborto volontario è che nel primo caso vi sono conflitti diretti tra diritti individuali: non che nell'aborto si uccide un uomo e nella sperimentazione animale una bestia ...


E la Lalli dice di voler difendere le persone più deboli: "La situazione attuale di solito penalizza le persone più deboli: chi non conosce i propri diritti, oppure chi si trova nell'ansia di dover fare presto, come nel caso della contraccezione d'emergenza, o chi non ha i mezzi per andare all'estero per aggirare i problemi di casa nostra". E la difesa del più debole - il bambino - che oltre a non conoscere i propri diritti, non si può difendere?


Sia chiaro: chi segue la Lalli sul suo blog non si stupisce di queste prese di posizione: per Lei i bambini prima di nascere (e tanto meno gli embrioni!) non hanno autocoscienza e quindi, non sono persone ... non sono nulla.

Ma come non preoccuparsi di questa campagna sempre più forte contro un diritto inviolabile dell'uomo come l'obiezione di coscienza?


Gli strumenti sono i soliti: ad esempio la ridicolizzazione: davvero dobbiamo credere alla Lalli quando scrive: "Sono andata in giro per ospedali, ho parlato con molti medici obbiettori per capirne la motivazione ... e spesso mi sono trovata di fronte ad argomentazioni fantasiose ...": davvero non ha trovato nessun medico che le ha risposto: "sono obbiettore perché non voglio e non posso uccidere"? Ma la Lalli equipara quelle posizioni a quelle di un poliziotto che avrebbe voluto astenersi dal garantire il servizio pubblico ai concerti di Simone Cristicchi ...


Lo Stato che permette l'uccisione di esseri innocenti tende inevitabilmente a diventare uno Stato totalitario, che non nega solo la vita, ma anche gli altri diritti inviolabili dell'uomo, in particolare la libertà e la libertà religiosa.

Questi sono i diritti che devono essere garantiti: non certo "un servizio previsto dalla legge".


Giacomo Rocchi

giovedì 10 novembre 2011

"180" Movie - Da pro-choice a pro-life in qualche manciata di secondi


Questo meraviglioso mini 'film' di 33 minuti fa riflettere, emoziona, e insegna che le nuove generazioni sono spesso solo 'senza verità'.

Per attivare i sottotitoli è sufficiente premere il tasto CC come da figura e scegliere 'italiano'.

Buona visione.

martedì 8 novembre 2011

Equilibrismi sulla pelle dei bambini






Antonio Polito, sul Corriere della Sera del 6/11 (cliccando sul titolo si accede all'articolo) affronta il tema delle "bambine mancanti" - le "bambine mai nate" del titolo e del libro di Anna Meldolesi, Mai nate, Mondadori. Il tema è noto: l'aborto selettivo utilizzato per non far nascere le bambine in una programmazione del numero dei figli che non superi i tre per famiglia. Sappiamo bene che la politica coattiva del figlio unico attuata da certi Paesi (prima fra tutti la Cina) produce - fra l'altro - l'infanticidio di neonate femmine o l'aborto di feti femmine in misura maggiore dei maschi; ma - sembra emerga dal libro della Meldolesi - la tendenza è generale in determinate popolazioni orientali (e, qualcuno potrebbe osservare, ovviamente non cristiane).
Ebbene: le statistiche dimostrerebbero che gli immigrati indiani e cinesi hanno portato importato in Italia questa pratica. In particolare, tra gli immigrati cinesi regolari, il rapporto tra neonati maschi e neonati femmine è di 109 a 100 se si tratta del secondo figlio e di 119 a 100 se si tratta del terzo figlio; rapporto che, per gli immigrati indiani, è di 116 a 100 per il secondo figlio e di 137 a 100 per il terzo figlio. Poiché si tratta di numeri nettamente difformi dal rapporto "naturale" tra maschi e femmine (105 maschi nati per ogni 100 femmine), si intravede in essi l'eliminazione delle bambine non desiderate.
Partiamo dalla conclusione del giornalista: "Le divisioni sul tema dell'aborto tra credenti e non credenti qui non c'entrano nulla. Si tratta piuttosto di impedire che nelle nostre città si manifesti la forma più orribile di relativismo culturale: quella che ci fa chiudere un occhio quando una bambina non nasce".
Questo - diciamolo esplicitamente - altro non è che moralismo: abbiamo deciso - il popolo italiano ha deciso! - di chiudere tutti e due gli occhi sulle centinaia di migliaia di bambini - maschi e femmine - massacrati con l'aborto, permesso a prescindere da qualunque motivazione; non c'è, quindi, nessun occhio da chiudere ancora! Piuttosto sarebbe il momento di riaprirli tutti e due e prendere coscienza di quanto avviene da più di 30 anni in Italia!
Si noti che Polito usa due termini "forti": "orribile", ma non si riferisce all'uccisione volontaria del bambino ... ; e "relativismo culturale": e su quest'ultimo termine si potrebbe ridere (o piangere) e parlare a lungo. Ci dica Polito quali sono i principi morali e culturali che non possono essere considerati "relativi"; uno di questi è forse il seguente: "si possono sempre uccidere i bambini prima della nascita, tranne il caso in cui si tratti del secondo o del terzo figlio, di sesso femminile, e l'uccisione avvenga perché i genitori vogliono concepire un altro figlio maschio"?
E quale sarebbe la "battaglia legislativa da ingaggiare al più presto" invocata nell'articolo? Polito vorrebbe che la Polizia convocasse le immigrate straniere incinte del secondo e del terzo figlio, si facesse mostrare le ecografie per verificare se il figlio è femmina, le interrogasse sulle intenzioni in ordine ad un possibile aborto e, soprattutto, che lo Stato impedisse a quelle donne di abortire, magari con sanzioni penali?
Il fatto è che la legge 194 permette questa pratica, come afferma, a denti stretti, l'articolo: "Dove sono dunque finite le bambine mancanti, le «missing girls»? Fino a qualche tempo fa venivano soppresse con l' infanticidio, cioè dopo la nascita, o uccise dalla negligenza deliberata dei genitori. Ma da quando c'è un accesso sempre più facile alla diagnosi prenatale del sesso, attraverso amniocentesi ed ecografia, e all'interruzione assistita della gravidanza, il nuovo sistema di selezione di massa è l'aborto (...) Se si ricorre alla villocentesi, che può essere fatta anche alla decima settimana, non è infatti escluso che le bambine siano abortite nelle pieghe della 194 e nelle strutture pubbliche. Se invece è l' ecografia a rivelare il sesso, c' è da sospettare aborti tardivi e clandestini".





Ecco a voi la legge 194 (quella che dovrebbe essere applicata integralmente ...)! Ecco la legge che proclama che "l'interruzione volontaria della gravidanza non è mezzo per il controllo delle nascite"! Ecco la legge che avrebbe cancellato il fenomeno dell'aborto clandestino! Alla ricerca del "bambino imperfetto" da eliminare si affianca (per chi lo vuole) la ricerca della figlia femmina da non far nascere; la legge permette tutto (gratuitamente); se è troppo tardi, l'aborto clandestino è sempre possibile ...





Giacomo Rocchi

lunedì 7 novembre 2011

Il decoro e la dignità degli infermieri



Bisognerà pure parlare di Giorgio Celsi, l'infermiere fondatore dell'Associazione "Ora et Labora in difesa della Vita" che manifesta davanti agli ospedali contro la legge sull'aborto e per convincere le donne a non uccidere i loro figli. Si deve parlarne, se è vero che, come il cardinal Bagnasco ha sottolineato a Todi, "il bene è possibile solo nella verità e nella verità intera", per cui occorre respingere gli inviti, più o meno espliciti, a non parlare di certi valori perché "divisivi", "inopportuni e scorretti", a lasciarli "in un cono d'ombra e di silenzio".
In due post dell'ottobre e del novembre 2010 ("Citazioni e strategie" e "Volontari buoni e volontari cattivi") abbiamo visto come Valter Boero, del Movimento per la Vita di Torino, riteneva evidentemente "divisive" le condotte del Celsi, mostrando a "La Repubblica" tutta la sua "correttezza" e anche un po' di disprezzo ("Né tantomeno andiamo a pregare al mattino presto davanti al Sant'Anna come fanno alcuni di loro").

Il fatto è che, con quella preghiera e con quella manifestazione, quel gruppo (e gli altri gruppi che adottano iniziative analoghe) ribadiscono una "verità tutta intera": con l'aborto si uccide un bambino innocente in modo crudele; in Italia c'è una legge che permette di uccidere i bambini che stanno crescendo nel grembo delle loro mamme.

La verità rende liberi, ma fa male a coloro che non vogliono ascoltarla: e così - si direbbe: puntuale - è giunta - dopo la diffamazione a mezzo stampa - la minaccia: "se non smetti, ti licenziamo e non potrai più fare l'infermiere!" Sì, perché Celsi, alle riunioni davanti agli ospedali ci va con il suo camice di infermiere: e questo, evidentemente, deve fare ancora più rabbia a chi non vuole che la "verità tutta intera" sia proclamata; perché - lo sanno bene i pubblicitari ... - un camice significa maggiore autorevolezza di chi testimonia un fatto di natura medica: un infermiere conosce ancora meglio cosa significa uccidere un bambino con l'aborto!


"Non si fa, non è decoroso, non è dignitoso, dove va a finire l'immagine della nostra professione infermieristica?" Già: dove va a finire - non l'immagine - ma la sostanza della professione dell'infermiere?

Certo non aiuterà a trovarla colui che ha firmato la lettera formale di contestazioni, che in un editoriale apparso su un giornale di categoria, così inizia: "DDL Calabrò: l'unica speranza è quella di prendere un treno per Lugano" (sottintendendo: con quel progetto di legge, per farsi ammazzare le persone dovranno andare in Svizzera ...). Si tratta - lo dice subito dopo - di una "provocazione", ma con un incipit di questo tipo si legge con timore che il presidente Giovanni Muttillo invita a riflettere sul "ripensare al significato profondo di assistere", sul "prolungare le funzioni biologiche per tempi indefiniti", sul "valutare il ricatto della tecnica invadente" e - soprattutto - sul "gestire risorse finite a fronte di bisogni in espansione" (in parole povere: i soldi sono pochi, chi lasciamo morire?).

Il dott. Giovanni Muttillo, Presidente del Collegio Interprovinciale Milano - Lodi - Monza - Brianza, vuole rifondare la professione infermieristica? E sulla base di quali criteri?

Cercheremo di approfondirlo in seguito.


Giacomo Rocchi

sabato 5 novembre 2011

I contenuti della battaglia prolife



Carlo Valerio Bellieni, sulla Bussola Quotidiana, il 12 ottobre si chiedeva: "Dove sono finiti i cristiani?" (cliccando sul titolo si accede all'articolo). L'Autore descrive la reazione dei cristiani di fronte alle nuove sfide della bioetica: un disastro, una completa omologazione e si chiede: "Perché questa rassegnazione, mentre invece il mondo scientifico alza la voce per mostrare le conseguenze negative di tante presunte “conquiste etiche”?" Stranamente ad essere attaccati, però, sono soprattutto coloro che sembrano "baloccarsi" di leggi: "I cristiani sono stati assimilati, magari consolati da qualche legge che fa ancora da argine alle derive in campo bioetico; ma mentre perfezioniamo le leggi, forse i buoi sono già scappati, e sarebbe il caso di riprendere ad educare invece di pensare solo all’ufficialità delle leggi".

Ho scritto al Direttore della Bussola Quotidiana questa lettera:
Gentile Direttore,
leggo l'articolo di Carlo Bellieni in data odierna, "Bioetica e morale, cristiani normalizzati". Ho sempre apprezzato Bellieni nei suoi scritti; e, aggiungo, concordo con lui sulla "normalizzazione" dei cristiani (o meglio: di molti cristiani) nel campo bioetico. Ma quanto contano le "leggi ingiuste" in questa normalizzazione? Bellieni dà un preciso criterio di priorità: "sarebbe il caso di riprendere ad educare invece di pensare solo all'ufficialità delle leggi"; quasi che l'incidenza della legislazione civile sulla cultura e sull'educazione del nostro popolo (e soprattutto del popolo cristiano) sia irrilevante. Non è così.

Prendiamo come esempio proprio la legge 40 sulla fecondazione in vitro: Bellieni la ritiene una delle "leggi che fa da argine alle derive in campo bioetico"? Una legge che ha "sdoganato" presso il popolo quelle pratiche di fecondazione in vitro, rendendole un diritto soggettivo per quasi tutti gli adulti che intendono avere un figlio per vie non naturali; una legge che non pone un limite ai tentativi, una legge che, già nella previsione iniziale (poi ulteriormente allargata dalla Corte Costituzionale) prevedeva la produzione di tre embrioni, dando per scontato che almeno due dei tre fossero destinati a morire; una legge che prevedeva espressamente casi di congelamento degli embrioni; una legge che non vietava espressamente la diagnosi genetica preimpianto ... potremmo continuare. Come stupirsi, allora, se, nel giro di pochi anni, il ricorso alle tecniche di fecondazione in vitro è massicciamente aumentato e che l'età degli aspiranti genitori sia andata a salire? E' stata proprio quella legge - che ipocritamente dichiarava di attribuire diritti agli embrioni, ma che ne permetteva la produzione, la morte programmata, il congelamento, il sezionamento, il tutto a spese dello Stato - a contribuire a rompere ogni argine culturale e morale nei confronti di queste tecniche antiumane.

Quindi - se Bellieni vuole riferirsi anche all'attualità - la battaglia che piccoli gruppi, soprattutto cattolici o di cattolici, fanno contro il progetto di legge sulle Dichiarazioni Anticipate di Trattamento - battaglia che non emerge soprattutto perché gli organi di stampa cattolici non lo permettono - non è affatto un tentativo di "perfezionare le leggi, quando i buoi sono già scappati": essa è mossa, piuttosto, dalla convinzione (fondata sull'esperienza) che anche questa legge aprirà un'altra breccia nel cuore del nostro popolo (e anche di quello cristiano) e contribuirà ad una accettazione sempre più ampia delle pratiche eutanasiche.

In definitiva: serve davvero una nuova evangelizzazione; serve alzare la voce - come fa egregiamente Bellieni - per mostrare le conseguenze negative delle presunte "conquiste etiche"; ma serve - e tanto - anche una battaglia a viso aperto contro l'ingiustizia delle leggi (prima fra tutte l'iniqua legge sull'aborto); è una battaglia che ha una grande valenza morale e culturale, perché riafferma la verità tutta intera, senza tacere e senza cedere a compromessi.

Giacomo Rocchi

giovedì 3 novembre 2011

Il cardinale Bagnasco e il "diritto di tutti alla vita"\6

Nei precedenti post abbiamo richiamato tre discorsi pubblici del Cardinal Bagnasco: abbiamo preso avvio dalla Prolusione al Consiglio Permanente della CEI, nel quale si auspicava la rapida approvazione del progetto di legge sulle DAT, un "provvedimento necessario per salvaguardare il diritto di tutti alla vita"; abbiamo richiamato la Prolusione del 2008, in cui si dava il "via libera" all'adozione del provvedimento, indicando i contenuti che esso avrebbe dovuto avere o non avere; e, infine, abbiamo commentato il discorso al Convegno di Todi, in cui si ribadiva l'impossibilità di compromessi o di "volenterose mediazioni" in tema di "valori non negoziabili", "perché questi valori non sono né quantificabili né parcellizzabili, pena trovarsi di fatto negati".

Molti sono gli elementi che indicano che i cattolici impegnati in politica che si stanno adoperando per l'approvazione del progetto di legge sulle DAT altro non stanno tentando che una "volenterosa mediazione" sul valore non negoziabile della difesa di ogni vita umana, qualunque sia la condizione in cui la persona si trova; così creando il rischio che quel valore sia "di fatto negato". Qualche esempio? Il divieto di accanimento terapeutico - che permette la sospensione delle terapie a determinati pazienti! - esteso ai soggetti in stato di "fine vita" (e non limitato ai soli pazienti terminali), categoria che per la sua vaghezza è assai pericolosa; cosa pensare dell'eliminazione del comma che stabiliva che detto divieto "non può legittimare attività che, direttamente o indirettamente, configurino pratiche di carattere eutanasico o di abbandono terapeutico"? Eliminazione richiesta dal sen. Marino, che sosteneva che la nozione di accanimento terapeutico "dipende dalla visione personale della vita e della malattia dell'individuo". Come non ritenere che questa previsione - che disegna un divieto di legge per i medici! - non faciliterà una "razionalizzazione della distribuzione delle risorse sanitarie" (sic!) da parte degli amministratori degli ospedali, alle prese con i problemi di budget? E quali saranno le categorie di pazienti su cui si risparmierà?

Il principio del consenso informato inteso come necessità di un preventivo consenso ad ogni terapia: è uno scambio, con i medici messi al riparo dalla responsabilità professionale, ma insieme privati di ogni autonomia.

L'attribuzione ai tutori e ai genitori dei minori del potere di decidere sulle terapie, anche salvavita, per interdetti e figli: da dove nasce questa previsione, che altro non è che la ratifica del caso Englaro (in cui il tutore decise per l'interdetta)? Come è possibile che si ignori che, per i neonati prematuri, in tutto il mondo è forte la spinta per attribuire ai genitori la decisione se curare o lasciare morire i figli che rischiano di essere disabili?

La ventilazione artificiale "dimenticata": non è forse anch'essa "sostegno vitale", per il quale dovrebbe essere vietata in ogni caso la sospensione, così come per l'idratazione e la ventilazione?

L'adozione delle Dichiarazioni anticipate di Trattamento: con il mondo cattolico che, da sempre, era stato decisamente contrario al testamento biologico, in qualunque maniera denominato, e che all'improvviso mostra una ferrea certezza sulla diversità ontologica tra Testamento biologico e DAT (ignorando che, nel testo approvato, è possibile rinunciare a tutte le terapie, previsione che - è facile prevedere - sarà interpretata come vincolante).


Abbiamo più volte segnalato queste e altre perplessità su questo testo che - non è certo un caso - è stato più volte cambiato e rimaneggiato. Davvero chi ne sollecita l'approvazione può garantire che non si tratti di "un altro passo nella direzione sbagliata", il secondo gradino (dopo il primo: l'uccisione di Eluana Englaro) verso l'eutanasia legale nel nostro Paese?


Se il discorso del Cardinale Bagnasco a Todi voleva essere un punto fermo da cui ripartire, l'indicazione di un criterio fermo e certo in base al quale giudicare la bontà di certe iniziative politico-legislative, come non sperare che esso segni un'inversione di rotta rispetto al disegno di legge sulle DAT?
Forse una "mediazione volenterosa"; certo non un provvedimento che "garantisce la vita di tutti", soprattutto dei nostri fratelli più deboli e senza voce!

Giacomo Rocchi

martedì 1 novembre 2011

Il cardinale Bagnasco e il "diritto di tutti alla vita"\5

Abbiamo commentato nel precedente post il discorso del Cardinal Bagnasco al Convegno di Todi, sottolineando il riferimento finale alle "mediazioni volenterose" operate o tentate sui valori non negoziabili che "di fatto" conducono alla loro negazione.
Quella del Presidente della CEI era soltanto un'argomentazione di carattere culturale o poteva applicarsi anche all'azione politica e legislativa? Benché si sia trattato di discorso di altissimo profilo culturale e religioso, il Cardinale non si è certo tirato indietro rispetto alla concretezza della politica e delle sue scelte, più volte facendo riferimento alle leggi. In primo luogo nel ribadire che "esiste un terreno solido e duraturo, che è quello dei principi o valori essenziali e nativi, quindi irrinunciabili non perché non si debbano argomentare ma perché, nel farlo e nel legiferare, non possono essere intaccati in quanto inviolabili, inalienabili e indivisibili"; poi nello stigmatizzare che "nella sfera culturale si rivendica la più assoluta autonomia delle scelte morali, e nella sfera legislativa si formulano leggi che prescindono dall’etica naturale, come se tutte le concezioni della vita fossero equivalenti"; infine nel sottolineare, in un passaggio davvero mirabile, l'incidenza dei "codici" sul costume di un popolo: "E, invero, la presa in carica dei più poveri e indifesi non esprime, forse, il grado più vero di civiltà di un corpo sociale e del suo ordinamento? E non modella la forma di pensare e di agire – il costume – di un popolo, il suo modo di rapportarsi nel proprio interno, di sostenere le diverse situazioni della vita adulta sia con codici strutturali adeguati, sia nel segno dell’attenzione e della gratuità personale? Questo insieme di atteggiamenti e di comportamenti propri dei singoli, ma anche della società e dello Stato, manifesta il livello di umanità o, per contro, di cinismo paludato, di un popolo e di una nazione".

Non era, quindi, abusiva la conclusione del nostro commento, quando indicavamo due testi legislativi come esempi di "mediazioni volenterose": la legge 40 sulla fecondazione artificiale e il progetto di legge sulle DAT.

Sulla legge 40, davvero - almeno nell'ambito cattolico - non dovrebbe essere necessario spendere molte parole, vista la premura di tanti commentatori nel ribadire che si tratta di una "legge imperfetta", di una "legge non cattolica", perché la fecondazione artificiale "per i cattolici" è illecita, e così via. L'obbiettivo proclamato all'epoca - eliminare il "far west" della provetta - conteneva nella stessa formulazione il compromesso (la "mediazione volenterosa") - perché presupponeva la previa rinuncia a vietare la fecondazione extracorporea: una tecnica che aveva mostrato tutta la sua malvagità e contrarietà alla natura umana nei suoi esercizi estremi ("utero artificiale", commistione di geni umani e animali, embrioni umani inseriti in femmine di animali), in quelli intermedi (clonazione umana, soppressione di embrioni per ricerche scientifiche, banche del seme), ma anche nella pratica abituale (congelamento di embrioni; diagnosi genetica preimpianto, selezione degli embrioni a scopo eugenetico, maternità surrogata, "mamme nonne", fecondazione eterologa, genitori omosessuali). Il percorso parlamentare, per di più, registrò (inevitabilmente?) sconfitte su questioni importanti (esplicitamente ammesse dai proponenti) ed infine i "paletti" su altre questioni furono disegnati in modo da essere facilmente travolti od aggirati.

Benché il mondo cattolico sia stato mobilitato per difendere questa legge (anche in questo caso con una tattica compromissoria: utilizzare l'astensione fisiologica nei referendum per impedire il raggiungimento del quorum, cosicché oggi non si può nemmeno sostenere fino in fondo che il popolo italiano ha confermato la legge 40, soprattutto dopo il successo "vero" dell'ultimo referendum), i suoi risultati - in termini di vite umane perse e di cultura del popolo - sono sotto gli occhi di tutti.

Ma anche la proposta di legge sulle DAT è chiaramente una (più o meno) "volenterosa mediazione", come vedremo nel prossimo post.

Giacomo Rocchi