giovedì 22 settembre 2011

Limiti ragionevoli? Pretese arbitrarie?



Assuntina Morresi, su "Avvenire", fornisce la "versione ufficiale" circa la legge 40 sulla fecondazione in vitro: una legge equilibrata e razionale. Il tema è ancora quello del limite dell' età potenzialmente fertile che la legge pone e che permette di accedere ai soldi pubblici destinati a queste tecniche anche a coppie nelle quali la donna ha 50 anni (nel Veneto) o comunque più di 40 anni (in tutta Italia).


La Morresi scrive:

"Come tutte le leggi, la 40 rispetta un orientamento culturale: si tratta
di una visione laica - per i cattolici la fecondazione extracorporea è illecita
- che cerca un equilibrio fra le esigenze della coppia e del nascituro, per la
quale non tutto ciò che è tecnicamente possibile diventa accettabile".


In pratica il limite di età viene concepito come se fosse stato posto a servizio del divieto di fecondazione eterologa:


"Per rimanere incinte ad oltre 50 anni una donna deve necessariamente
ricorrere ad ovociti di una donna più giovane".

Come fa ad essere "laica" una visione che individua un solo interesse del futuro embrione - quello di essere generato con i gameti dei suoi genitori - e chiude tutti e due gli occhi sull'interesse di tutti gli altri embrioni, quelli che vengono prodotti già destinati a morte quasi certa?

"Laico" non dovrebbe essere "agganciato alla realtà"?



La Morresi polemizza con coloro che si "stracciano le vesti" perché alcune Regioni hanno posto dei limiti più restrittivi all'accesso alla PMA a carico del SSN:


"dovrebbe onestamente dire che ogni obbiettivo è eliminare ogni
regolamentazione della fecondazione in vitro".

Morresi vuole davvero farci credere che non permettere alle donne di oltre 50 anni di accedere alle tecniche sia una regolamentazione efficace? E' come sostenere - qualcuno lo sostiene ... - che il divieto di aborto dopo i sei mesi limita l'aborto.



Il fatto è che la regolamentazione non è affatto "ragionevole" (come titola Avvenire) perché non tiene conto della realtà delle decine di migliaia di embrioni morti o congelati; e che - una volta che si è elevato a diritto la pretesa degli adulti di superare ogni ostacolo alla fecondità, anche a prezzo della morte di tanti figli, nessuna pretesa è più "arbitraria".



Giacomo Rocchi

martedì 20 settembre 2011

I fragili "paletti" delle "leggi imperfette"



Sappiamo bene quali sono stati gli effetti disastrosi della legge 40 sulla fecondazione artificiale: decine di migliaia di embrioni creati ogni anno e morti in poche ore o in pochi giorni, così come previsto, altre migliaia congelati (così come avveniva prima della legge), diagnosi preimpianto - con eliminazione degli embrioni difettosi - regolarmente praticata, "sdoganamento" delle pratiche di fecondazione in vitro sia dal punto di vista sociale che da quello morale ...

A difesa di questa legge - scritta ed approvata dal mondo cattolico - il popolo delle parrocchie e dei movimenti è stato mobilitato nella battaglia referendaria dopo essere stato convinto che si trattava di una battaglia a difesa della vita e della civiltà.



Ma gli anni passano e le verità emergono. Fra le tante vi è quella del divieto di "mamme-nonne". Ricordate? Una delle parole d'ordine era quella di impedire gli eccessi della fecondazione in vitro, demonizzando gli "aspiranti stregoni", come Severino Antinori...

Scopriamo in Avvenire del 19/9/2011 che la Regione Veneto, alcuni mesi fa, ha stabilito il limite massimo di età della donna di 50 anni per accedere alla procreazione assistita, stabilendo, altresì, il numero massimo di tre o quattro tentativi: il tutto a carico del Servizio Sanitario Nazionale!



Provvedimento illegittimo? Enrico Negrotti, nell'articolo, spiega a chiare lettere: "L’origine delle incertezze è in parte nella stessa legge 40 che concede l’accesso alle tecniche alle coppie in età potenzialmente fertile: una definizione che per le donne significa presenza del ciclo mestruale, mentre per i ginecologi la fecondità è ormai ridotta al lumicino già alcuni anni prima dell’effettiva menopausa". Aggiungiamo noi: oltre a dettare questo criterio così vago, la legge si è ben guardata dal prevedere qualsiasi sanzione per chi lo viola; cosicché i tentativi delle coppie anziane sono sostanzialmente liberi.

E infatti l'unico problema - andiamo al cuore della fecondazione in vitro ... - sembra essere quello dei soldi: chi paga?

Sì, perché "il costo per ogni bimbo nato da un donna di 45 anni risulta oscillare tra i 600mila e i 700mila euro". Vedete? Dei costi veri - la produzione e la morte di decine o centinaia di embrioni per ogni bimbo "in braccio", la devastazione psicologica e morale delle coppie che falliscono nei ripetuti tentativi, il rapporto falsato tra genitori e figlio, i problemi psicologici del bambino - ci si può dimenticare: la legge li permette ...


E così il "tavolo tecnico" ha elaborato una bella proposta di compromesso (non vincolante per le Regioni): limite massimo di età per la donna: 43 anni!

Un'età in cui (lo dice la Relazione al Parlamento del Ministro della Salute) le percentuali di instaurazione di una gravidanza dopo il prelievo ovocitario crollano (poco più di sette gravidanze ogni cento prelievi, contro la media di 24 gravidanze ogni 100 prelievi) e, per di più, aumenta enormemente la percentuale delle gravidanze interrotte per vari motivi (65 gravidanze su 100, contro la media di 24,6 su 100).

Si tratta di decine, di centinaia di embrioni o bambini morti per ogni "bambino in braccio" di una mamma di età avanzata.



Questa è una "legge imperfetta"; per questa ci hanno fatto combattere perché non fosse abrogata.

Sappiamo che qualcuno sta già preparando un referendum abrogativo contro la legge sulle DAT che la Camera dei Deputati potrebbe approvare nei prossimi mesi.

Una richiesta a coloro che sono pronti ad una nuova mobilitazione: prima di sventolare la bandiera della difesa della vita, spiegate cosa quella legge prescrive davvero!



Giacomo Rocchi

giovedì 15 settembre 2011

Testamento biologico: il progetto approvato alla Camera. Conclusioni




Terminata l'analisi del testo approvato dalla Camera dei Deputati, le conclusioni non possono che essere sconfortanti.



Se ripensiamo alla parola d’ordine che spinge i promotori del progetto di legge – “Mai più un’altra Eluana Englaro!” – dobbiamo concludere questa analisi con la constatazione che: 1) la legge non garantisce affatto l’obbiettivo di impedire altre sentenze come quelle che permisero l’uccisione di Eluana Englaro; 2) la legge costruisce nuovi “gradini” dai quali i fautori (palesi od occulti) dell’eutanasia – consensuale e non consensuale – potranno cercare (con ottime probabilità di riuscita) di raggiungere ulteriori risultati.

Meglio nessuna legge, quindi, se davvero non è possibile approvare un testo che si limiti a vietare la sospensione dei sostegni vitali a coloro che non sono in grado di provvedere a se stessi.
Certo: sappiamo che i fautori dell’eutanasia hanno nella propria faretra altre frecce (alcune già scagliate, come i testamenti biologici comunali o i decreti sugli amministratori di sostegno), altri casi pietosi da mostrare, altre morti in diretta da esibire, altre menzogne da raccontare.
Dovremo combattere colpo su colpo a questi tentativi, e dovremo fare opera educativa per diffondere il rispetto della vita debole e malata: ma, almeno, non diamo un aiuto ai fautori della morte!



Meglio nessuna legge!



Giacomo Rocchi

lunedì 12 settembre 2011

Testamento biologico: il progetto approvato alla Camera/9



Abbiamo visto che sono leciti dubbi sull'effetto solo "orientativo" delle DAT. Vediamo se sono fondati.

Leggiamo l'articolo 3 comma 3 della legge: “Nella dichiarazione anticipata di trattamento può essere esplicitata la rinuncia da parte del soggetto ad ogni o ad alcune forme particolari di trattamento terapeutico in quanto di carattere sproporzionato o sperimentale
Questa “rinuncia” è un “orientamento”, che quindi il medico può non attuare, o ha un valore diverso? Il medico potrà – anzi: dovrà – effettuare i trattamenti terapeutici cui il dichiarante ha “rinunciato”?
Come non temere che, in sede di attuazione, la “rinuncia” sarà ritenuta cosa diversa da tutti gli altri “orientamenti”? Si tratta di una previsione separata da quella generale; inoltre il significato della parola “rinuncia” è molto più vicino alla espressione “rifiuto” piuttosto che a “orientamento”: “rinuncia” e “rifiuto” rispondono ad un’alternativa “secca”, sì o no, “questa terapia la faccio o non la faccio, la voglio o non la voglio”; “orientamento”, invece, comprende una scala di “grigi” (“vorrei essere curato solo con le erbe”, “non vorrei subire amputazioni se non strettamente necessarie” ecc.), rispetto alle quali è ben comprensibile che il medico mantenga la sua libertà e discrezionalità (“ti vorrei curare con le erbe, ma per questa patologia non ci sono medicinali adeguati” ecc.).


Ricordiamo il quadro iniziale: il medico può agire solo se è stato espresso il previo consenso del paziente al trattamento, altrimenti non può e non deve farlo; ecco: così come il rifiuto espresso dal paziente cosciente (o dai legali rappresentanti degli incapaci) rende il medico non legittimato ad intervenire, si sosterrà che la rinuncia esplicitata nella DAT con riferimento ad ogni trattamento terapeutico comporti la mancanza di legittimazione del medico ad intervenire.
Del resto nessuna norma sancisce esplicitamente l’inefficacia di DAT che contengano la “rinuncia” a tutti i trattamenti terapeutici, anche salvavita: non è certamente sufficiente a questo fine il disposto dell’articolo 4 comma 6 che stabilisce che “in condizioni di urgenza o quando il soggetto versa in pericolo di vita immediato, la dichiarazione anticipata di trattamento non si applica”: la rinuncia ai trattamenti sanitari salvavita può non comportare affatto un “pericolo di vita immediato”, ma una morte conseguente ad un processo patologico non curato di una certa durata.


E infatti: l'articolo 2 afferma l'obbligo per il personale sanitario di operare avendo come scopo esclusivo la salvaguardia della salute e della vita del paziente, ma solo "in assenza di una dichiarazione anticipata di trattamento": quindi, quando le DAT vi sono, medici e infermieri non hanno più quest'obbligo ...


Insomma: se il dichiarante avrà chiesto di essere lasciato morire rinunciando ad ogni trattamento terapeutico, il personale sanitario non potrà andare contro alle sue disposizioni, attivandone ugualmente: si sosterrà, infatti, che a quella rinuncia non è applicabile la disposizione secondo cui "il medico non può prendere in considerazione orientamenti volti comunque a cagionare la morte del paziente".


In definitiva, anche con riguardo alle DAT, le modifiche apportate alla Camera non permettono di tranquillizzare chi è contrario all’eutanasia: non solo per il quadro piuttosto confuso che è uscito dai lavori parlamentari, ma anche perché quel meccanismo, che avrà il sigillo dello Stato, non potrà che facilitare spinte ulteriori (anche in questo caso, probabilmente di tipo giurisprudenziale) verso una vincolatività per i medici, sia del rifiuto di terapie salvavita, sia della rinuncia all’alimentazione e idratazione artificiale.
Perché il mondo prolife è contrario a questi effetti? Per due motivi: essi sanciscono il principio della disponibilità della vita (di fatto, al di là delle proclamazioni di principio); inoltre il meccanismo creato non garantisce nessuna libertà e nessuna informazione effettive a colui che, in stato di completo benessere o, al contrario, a colui che è gravato dalla sensazione di “essere di troppo”, si troveranno a sottoscrivere un documento (magari dattiloscritto) senza sapere cosa succederà in futuro e senza comprendere fino in fondo il contenuto della loro dichiarazione.


Pensate davvero che la legge, nel disporre che la DAT sia firmata “in stato di piena capacità di intendere e di volere e di compiuta informazione medico-clinica”, preveda qualche meccanismo per garantire che avvenga davvero così?

Giacomo Rocchi

venerdì 9 settembre 2011

Testamento biologico: il progetto approvato alla Camera/8



Siamo giunti alle dichiarazioni anticipate di trattamento per le quali la Camera ha apportato modifiche davvero rilevanti. Giunti a questo punto dell’esame del progetto, tuttavia, possiamo comprendere che le DAT non sono affatto centrali nella regolamentazione complessiva, in particolare rispetto ai timori di una legalizzazione dell’eutanasia.

La Camera dei Deputati ha scelto con decisione la strada della non vincolatività delle Dichiarazioni Anticipate di trattamento. La parola chiave per definire il contenuto delle DAT è “orientamenti”: non più "volontà espresse" o "indicazioni" del dichiarante, ma, appunto, "orientamenti".
Di conseguenza il fiduciario nominato nelle DAT non può più instaurare una controversia contro il medico curante per far rispettare le disposizioni anticipate (abrogazione dell’articolo 7 c. 3). Il fiduciario continua, quindi, a “controllare” l’operato dei medici: ma – qui è la modifica sostanziale apportata dalla Camera – il medico curante, se non vuole seguire gli orientamenti espressi nelle DAT, deve solo "sentirlo"ed è tenuto ad “esprimere la sua decisione motivandola in modo approfondito e sottoscrivendola sulla cartella clinica”. Quindi - almeno sembra - è il medico che decide.
La Camera, inoltre, ha limitato l’ambito di applicazione delle DAT: ora “la dichiarazione anticipata di trattamento assume rilievo nel momento in cui il soggetto si trovi nell’incapacità permanente di comprendere le informazioni circa il trattamento sanitario e le sue conseguenze per accertata assenza di attività cerebrale integrativa sotto-corticale e, pertanto, non può assumere decisioni che lo riguardano”. Questa condizione è accertata da un collegio medico appositamente formato.
Per chi teme la legalizzazione dell’eutanasia, in realtà, questa restrizione non tranquillizza: il paziente potrebbe essere stato interdetto assai prima e quindi, se le DAT non trovano applicazione, saranno le decisioni del tutore ad esserlo: e si sono visti nei precedenti post i rischi connessi.

Ma è vero che le DAT contengono solo “orientamenti” che il medico può seguire o meno?

Se fosse così, perché allora mantenere tutta la complessa regolamentazione? Perché spendere soldi per istituire il Registro Nazionale delle dichiarazioni anticipate di trattamento?
E perché negare ogni efficacia a dichiarazioni rese in forma diversa (art. 4 c. 2: “Eventuali dichiarazioni di intenti o orientamenti espressi dal soggetto al di fuori delle forme e dei modi previsti dalla presente legge non hanno valore e non possono essere utilizzati ai fini della ricostruzione della volontà del soggetto”)? Pensiamo quanto è difficile manifestare con precisione e con completezza il nostro pensiero con un atto scritto e a persone a noi estranee; se davvero dovessimo manifestare i nostri “orientamenti” e i nostri desideri su come essere curati in un futuro incerto e lontano, non lo faremmo molto meglio “a voce”, parlando con i nostri parenti più stretti, o con il coniuge o con l’amico più caro? Ma la legge ci imporrà di firmare un atto scritto e di farlo “esclusivamente” presso il medico di medicina generale che contestualmente le sottoscriverà. Per di più quell’atto scritto avrà valore solo per cinque anni e, quindi, dovrà essere rinnovato ogni quinquennio.


Vedremo nel prossimo post che questi dubbi hanno una risposta: in realtà - nella loro funzione essenziale di permettere l'eutanasia passiva del paziente incosciente - le DAT rischiano di essere ritenute vincolanti.



Giacomo Rocchi

mercoledì 7 settembre 2011

Testamento biologico: il progetto approvato alla Camera/7



Prima di affrontare il testamento biologico, soffermiamoci sulla "norma manifesto" del progetto di legge, quella che si ricollega direttamente alla tragica vicenda dell'uccisione di Eluana Englaro e che vieta la sospensione della nutrizione e idratazione artificiale.

Come vedremo, non mancano anche su questa norma dubbi e perplessità.



L’articolo 3 comma 5 del progetto stabilisce: “Anche nel rispetto della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, fatta a New York il 13/2/2006, alimentazione e idratazione, nelle diverse forme in cui la scienza e la tecnica possono fornirle al paziente, devono essere mantenute fino al termine della vita, ad eccezione del caso in cui le medesime risultino non più efficaci nel fornire al paziente in fase terminale i fattori nutrizionali necessari alle funzioni fisiologiche essenziali del corpo”.
Si tratta della norma ispirata dal caso Englaro, diretta giustamente ad impedire che altri disabili vengano fatti morire di fame e di sete. La Camera ha migliorato la norma approvata dal Senato: ora l'unica eccezione riguarda i pazienti in fase terminale, cioè prossimi ad una morte imminente e inevitabile: solo in questa condizione, infatti, talvolta il corpo morente rifiuta alimenti e liquidi che, quindi, il medico deve poter sospendere per permettere una morte dignitosa.

Reggerà questa norma di fronte ai Giudici e alla Corte Costituzionale? Abbiamo visto che sarà facile promuovere cause contro i medici e in queste cause potranno essere sollevate questioni di costituzionalità.
Vi sono tre motivi per temere che questa norma di civiltà cada o venga “ammorbidita” fino a renderla priva di effettivo contenuto.
In primo luogo la natura di trattamento terapeutico dell’alimentazione e idratazione artificiale (come tale rifiutabile dall’interessato o dai suoi rappresentanti legali) è oggettivamente discussa; a livello giuridico la Cassazione nel caso Englaro l'ha già qualificata trattamento sanitario. Se pensiamo che vengono definiti “terapeutici” l’aborto volontario o la fecondazione in vitro, possiamo comprendere che la riflessione sulla sostanza dell’atto (“è nutrimento, non è terapia”) fatichi a farsi strada.
In secondo luogo il divieto di sospendere alimentazione e idratazione artificiali è un'eccezione in un quadro di assoluta disponibilità (per l’interessato o per i suoi legali rappresentanti) di tutti i trattamenti sanitari. E allora: se è possibile decidere su tutto, perché non poter decidere anche su questo aspetto?

Se si possono rifiutare terapie salvavita, perché non si può rifiutare “alimentazione salvavita”?


Infine, e soprattutto: la norma è debole perché non menziona l’obbligo di mantenere anche la ventilazione artificiale.
Qui si può toccare con mano il compromesso su valori non negoziabili: che si tratti di sostegno vitale, anche se fornito con mezzi e strumenti di carattere sanitario, si può sostenere con gli stessi argomenti riguardanti alimentazione e idratazione; ciascuno di noi, per vivere, deve essere nutrito, bere e respirare. Non basta: l'argomento è stato proposto e discusso anche alla Camera dei Deputati, ma senza alcun esito. Si è così stabilito il principio che la ventilazione artificiale, in quanto trattamento sanitario, può essere rifiutato e sospeso, con la morte del soggetto.
Questa diverso trattamento tra le differenti forme di sostegno vitale fa apparire la norma sull’alimentazione e idratazione artificiale un’eccezione illogica, irragionevole e quindi illegittima.

La giurisprudenza civile e costituzionale sulla legge 40 sulla fecondazione artificiale ha purtroppo dimostrato che le regole e i divieti fondati sul compromesso non resistono agli attacchi e vengono sgretolati.



Giacomo Rocchi

sabato 3 settembre 2011

Testamento biologico: il progetto approvato alla Camera/6




Così come per i tutori e gli amministratori di sostegno, anche per i genitori dei minori il progetto prevede un potere di decisione sulle terapie necessarie ai figli davvero enorme.
Vediamo anche questo aspetto e tiriamo le fila di questa regolamentazione sul "consenso informato", da alcuni salutata come un grande passo in avanti ma che, in realtà, fa intravedere ombre davvero scure.

Anche la disciplina sul consenso informato al trattamento sanitario dei minori è stata modificata alla Camera dei Deputati. L’articolo 2 comma 7 ora recita: “Il consenso informato al trattamento sanitario del minore è espresso o rifiutato dagli esercenti la potestà parentale o la tutela dopo avere attentamente ascoltato i desideri e le richieste del minore. La decisione di tali soggetti è adottata avendo come scopo esclusivo la salvaguardia della vita e della salute psicofisica del minore”. Anche per i minori è stato cancellata la previsione della necessità di ricorrere al giudice tutelare in caso di mancato consenso. Inoltre – a differenza degli interdetti – non viene richiamata la disciplina delle dichiarazioni anticipate di trattamento.
Il quadro che ne esce – a prescindere dalle intenzioni dei parlamentari che hanno proposto le modifiche – è preoccupante. La norma, in sostanza, dice: decidono i genitori (tranne i casi di urgenza, che valgono anche per i minori); non pone limiti alle decisioni che essi possono prendere; non prevede in alcun modo che i medici possano disapplicare le decisioni dei genitori.
L’unico vincolo a queste decisioni è l’obbligo per i genitori di adottarle avendo come scopo esclusivo la salvaguardia della vita e della salute psicofisica del minore: ma, non essendo stabilita l’inefficacia del loro rifiuto di terapie salvavita, non sorge nemmeno il conseguente obbligo per i medici di eseguirle ugualmente.
Se la norma non stabilisce un sistema di controllo efficace sulle decisioni, è inutile (e ingannevole) stabilire limiti o criteri per chi le deve adottare; pensiamo al regime dell’aborto volontario nei primi 90 giorni stabilito dalla legge 194: in teoria la legge permette l’aborto solo in certi casi, ma, in realtà, l’aborto è permesso sempre, perché la legge non permette alcun controllo sulla decisione della donna.
Non sorprenda questa insistenza sull’eutanasia dei minorenni: l’uccisione dei neonati prematuri a rischio di disabilità è teorizzata ed attuata in molti Paesi (si ricordi il tristemente famoso “Protocollo di Groningen”); la strada più semplice per introdurla nel nostro Paese è quella di attribuire ai genitori (adeguatamente consigliati da certi medici: “potrebbe sopravvivere, ma forse resterebbe handicappato …”) la decisione finale sulla prosecuzione delle terapie intensive neonatali.

Ecco, in definitiva, che quel principio del consenso informato, apparentemente principio di buon senso, declinato in concreto, non apre spiragli, ma piuttosto rischia di spalancare porte a decisioni eutanasiche prese da legali rappresentanti di incapaci (spesso su suggerimento di certi medici).




Giacomo Rocchi