giovedì 28 ottobre 2010

Citazioni e strategie


Sul sito Web del Movimento per la Vita è stato pubblicata la delibera del Consiglio Direttivo adottata alla riunione del 23 e 24/10/2010.


In questa Delibera si legge:

"Il Consiglio direttivo rileva che l'incontro a Milano è stato riportato in maniera inesatta dal comunicato stampa N.89, unilateralmente emesso da tale Comitato".

Il Comunicato stampa n. 89 del Comitato verità e Vita non è riportato.

Si aggiunge:

"Sui contenuti si rilevano infedeltà e omissioni riguardo al contenuto e alle modalità dell'incontro, in particolare con l'attribuzione al Mpv italiano di opinioni (sulla legge194, sulla fecondazione artificiale omologa) che non corrispondono alla realtà dei fatti e alla storia del Mpv italiano"

Andiamo a guardare il Comunicato Stampa n. 89: "Le due delegazioni hanno constatato che permangono importanti differenze di posizione tra le associazioni: se comune è lo scopo della difesa di ogni vita umana dal concepimento alla morte naturale, diversi sono i giudizi di merito, ad esempio intorno agli argomenti e all’insistenza con cui contestare pubblicamente e continuativamente la legge 194; intorno alla legge 40/2004 e alla fecondazione artificiale omologa; intorno alla legalizzazione del testamento biologico."

E allora: in che punto il Comunicato stampa avrebbe attribuito al Movimento per la Vita opinioni che non rispondono alla realtà dei fatti? Il Comunicato stampa non attribuisce affatto "opinioni"; semplicemente dà atto che vi sono importanti differenze di posizione.

Il Comitato Direttivo vuole sostenere che non vi sono importanti differenze di opinioni?
Pare proprio di no, perché dopo si dice:
"Sono invece reali le considerazioni sulle diverse strategie che caratterizzano le due associazioni, diverse e talora addirittura contrastanti, per esempio sulla legge sul Fine Vita (in gestazione in Parlamento dopo la vicenda di Eluana Englaro), e sulle modalità di contrasto alla cultura sempre più permissiva sulla fecondazione assistita, alimentata dalle sentenze giudiziali demolitive della legge 40."

Insomma: Verità e Vita e Movimento per la Vita sono d'accordo nel sostenere che vi sono importanti differenze di posizione ... ma il Comitato Verità e Vita non doveva dirlo per primo?
Non doveva rivelare che vi era stato un incontro?
Forse l'inesattezza del Comunicato stampa stava nel punto in cui si diceva che "l’auspicato incontro si è finalmente svolto, in un clima franco e cordiale"?

Il Comunicato favoriva "la confusione tra Movimento per la vita e l'attuale Comitato Verità e vita" (forse nel passo in cui scriveva che "I presidenti hanno convenuto circa il fatto che il Comitato Verità e Vita e il Movimento per la Vita sono due associazioni distinte e autonome, che agiscono in maniera trasparente attraverso i rispettivi organi statutari")?

Il Comitato Direttivo del Movimento per la Vita comunque, conclude sulle strategie:
"Infatti l'identità di concezione per quanto riguarda l'esistenza del diritto alla vita dal concepimento alla morte naturale non deve far sottovalutare la grande distanza nelle strategie operative, perché proprio queste contraddistinguono l'identità di un movimento".

Un primo "assaggio" della diversità nelle strategie operative lo dà Walter Boero che, poiché sostiene che "il dialogo con i laici è possibile", trova un bello spazio su "Repubblica Torino", con tanto di foto sorridente.
Elegante l'apertura in pieno linguaggio "anni '70": il Comitato Verità e Vita è composto dalle "frange più intransigenti" che "rappresentano solo poche decine di esagitati".
(Bello il fatto che Boero scagli addosso agli "esagitati" la qualifica di "intransigente": eh, sì, difficile transigere sui bambini uccisi ...)

Non basta: non virgolettato, Boero sostiene che le "frange intransigenti" degli "esagitati" appellano le donne che abortiscono con le parole "assassine" e "malate di mente".

Comunque Boero (posso aggiungere una sensazione? Un po' sprezzante) sostiene che "i loro atteggiamenti non possono essere in alcun modo in sintonia con il nostro stile. Una questione di metodi".
E' una questione di strategie operative o di stile?

Boero centra il punto: "Mi pare proprio che queste persone abbiano comportamenti che non tengono conto della realtà"
Quale sarà la realtà per Boero? Terrà conto che nell'aborto viene ucciso un bambino? Non lo sappiamo perché - rispettando una convenzione implicita nelle interviste a giornali di questo tipo - Boero omette qualunque riferimento al bambino che viene ucciso (forse è una questione di stile ...). La parola "bambino" viene usata con riferimento alla donna che ha abortito o intende abortire: secondo Boero, sostenere che "si debbano avere posizioni più dure ... è come sbattere il libro in faccia a un bambino che prende quattro in matematica".

Ecco, comunque, la linea strategica di Boero: di fronte alla (minacciosa?) domanda della giornalista: "Voi andate davanti agli ospedali a cercare di convincere le donne a non abortire?", Boero rassicura (è per favorire il dialogo con i laici?): "No, abbiamo degli sportelli, uno anche all'interno del Mauriziano. Chi vuole ci consulta, non cerchiamo nessuno".

Ma per far capire che Boero è davvero un laico -laico, l'aggiunta, non richiesta: "Né tantomeno andiamo a pregare al mattino presto davanti al Sant'Anna come fanno alcuni di loro" (non sia mai ...).

Come stupirsi, allora che "mai avuto problemi"?

Mentre qualche "esagitato" ha firmato un "patto per la vita e la famiglia" con Roberto Cota, i "metodi" di Boero sono ovviamente "altri": "di recente abbiamo organizzato un incontro con gli operatori dei consultori e la discussione è stata proficua e interessante": proficua per chi? E interessante per chi?

Quello che interessa a Boero, sembra di capire, è bloccare l'ingresso dei volontari per la vita negli ospedali: "So che quella delibera debba ancora precisare molti aspetti".
Boero chiederà che i volontari abbiano "stile", non siano "esagitati", stiano attenti a non pregare e - mi raccomando! - si impegnino a non cercare di convincere le donne a non abortire?

Giacomo Rocchi

sabato 23 ottobre 2010

Una scomoda verità


Torniamo sul precedente post riguardante la lettera dei vescovi polacchi sulla fecondazione artificiale e sul modo con cui la stessa è stata presentata nell'articolo del 7/10/2010 su "Avvenire".

Due premesse sono doverose: la prima è che il titolo dell'articolo ("La Polonia cerca la 'sua' legge 40") non è automaticamente attribuibile al giornalista (Lorenzo Shoepflin); la seconda è che - salvo che ce ne siano sfuggiti - si tratta dell'unico articolo apparso sul quotidiano della Conferenza Episcopale Italiana che riguarda la dura presa di posizione di quella polacca.

Cosa dicono di nuovo di vescovi polacchi?
Per chi ha letto la Dignitas Personae sostanzialmente nulla: la critica serrata alle tecniche di fecondazione artificiale in sé e la sottolineatura della loro abortività intrinseca - cioè del fatto che la stragrande maggioranza di embrioni prodotti muoiono inevitabilmente: hanno, quindi, un destino segnato - sono scritte nero su bianco in quel documento così autorevole; come stupirsi, quindi, che i vescovi polacchi lo ripropongano e giungano alle conseguenze inevitabili (la scomunica latae sententiae: peraltro bisogna ricordare che il riferimento ad essa non è contenuta nel documento, ma è stata fatta in un'intervista)?
(Ma in questo blog il 14/12/2008 si segnalava che una sintesi del documento vaticano apparso sul sito del Movimento per la Vita erano scomparsi proprio i riferimenti a questa abortività)

Non possiamo nascondere un dato: all'interno del mondo cattolico - che dovrebbe essere il più favorevole ad una difesa della vita umana intransigente - sulla fecondazione artificiale la frattura è nettissima tra chi è favorevole ed esercita tali tecniche e chi - come i vescovi polacchi - le respinge. Questa frattura è apparsa chiaramente in questo periodo, a seguito dell'assegnazione del premio Nobel a Edwards, il "padre" della provetta.

Leggiamo l'intervista a Eleonora Porcu - presentata come un medico che da 35 anni fa questo lavoro - su Avvenire dello stesso giorno:
"Agli albori di questa tecnica, c’era comunque un percorso quasi
'naturale'
, durante il quale una sola tappa veniva deviata per prendere la
strada del laboratorio. Dalle origini a oggi c’è stata senza dubbio una
filiazione di applicazioni delle tecniche a situazioni ai limiti dell’aspetto
terapeutico, fino a spingersi a ciò che io considero un rischio di
aberrazione e degenerazione, come la clonazione umana, l’utilizzo in modo
indiscriminato di gameti e utero, addirittura con sfruttamento delle persone, in
particolare della donne
. Mi riferisco al business dell’utero in affitto in
Paesi come l’India".
Richiesta di esprimere le valutazioni etiche, la d.ssa Porcu afferma:
"Ecco allora problemi etici enormi, tra cui quello della soppressione degli
embrioni in soprannumero".

Ecco che viene presentata una fecondazione artificiale buona, addirittura naturale (sic!) e una cattiva: e il cattivo è colui che sopprime volontariamente gli embrioni in soprannumero, o addirittura fa clonazione o sfrutta le donne del terzo mondo. Chi, come la d.ssa Porcu, da 35 anni produce migliaia di embrioni destinati a morte certa, ha il diritto di fare la morale ai lettori del quotidiano cattolico (come è noto, la d.ssa Porcu non è l'unica cattolica a operare nella fecondazione in vitro ...).

Ma anche Michele Aramini, in un articolo nello stesso giornale del 7/10/2010, è attento a distinguere:
"C’è un altro lato della medaglia che non si vuole assolutamente guardare:
si sono generati 4 milioni di bambini, pagando il prezzo di molti milioni di
loro fratelli che sono stati sacrificati programmaticamente per arrivare a
questo scopo.
(...) Dobbiamo però interrogarci sulle scelte di medici e
genitori che hanno fatto nascere la vita dalla morte. E si trattava sempre di
loro figli, tra i quali hanno magari fatto una scelta, non si sa con
quale autorità. Che i genitori, con l’aiuto dei medici, decidano quale dei
propri figli debba vivere o morire
è una condizione che dovrebbe ripugnare
alla coscienza di ogni persona"
Ancora una volta il vero problema sembra essere quello della selezione degli embrioni, non dell'abortività intrinseca delle tecniche. E, infatti, in un passaggio successivo Aramini sostiene che
"... dobbiamo segnalare uno svilimento tremendo per il valore della vita umana.
Svilimento che ha preso le mosse dal 1978, quando i congelatori hanno
cominciato a riempirsi di embrioni soprannumerari che non servivano più
. Da
allora la sperimentazione distruttiva sugli embrioni è diventata prassi comune, rendendo sempre più normale l’idea che si tratti di semplice materiale
biologico
".
Vedete? lo "svilimento del valore della vita umana" non deriva dal fatto che gli embrioni vengono prodotti, non è conseguenza delle tecniche di fecondazione artificiale ... deriva dalla sovrapproduzione, dal congelamento, dalla distruzione volontaria degli embrioni.
Ancora una volta ci viene proposta una parte buona della fecondazione artificiale e una parte cattiva.
Del resto: guardate la posizione dell'articolo di Shoepflin nella pagina di E' Vita del 7/10/2010 e vedete come è sovrastato da quello, cui viene data ben maggiore importanza, in cui Angela Merkel afferma: "No alla diagnosi sugli embrioni".

Certo: su Avvenire appaiono anche le posizioni radicali: Giacomo Samek Lodovici scrive, nello stesso numero che
"... ci sono diverse ragioni laiche per biasimare moralmente la Fivet, che
risulta inaccettabile pur producendo alcuni bambini: infatti il fine non
giustifica il mezzo. Il presupposto (...) di buona parte del seguente discorso è
che il concepito è un essere umano a tutti gli effetti, dunque ha una dignità
incomparabile. (...) Ora, per ogni nato la Fivet comporta la morte di un numero
enorme di embrioni, in quanto le sue percentuali di successo sono bassissime: su
100 embrioni prodotti, almeno 80 sono destinati a morire subito a quasi. La
morte degli embrioni dopo i concepimenti naturali è provocata dalla natura, non
da una tecnica dell’uomo, come avviene con la Fivet"
e nella stessa pagina Roberto Colombo menziona il numero degli embrioni morti dopo il trasferimento in utero.

Ci si chiede, però, se sia opportuno tacere su questa frattura. Nel prossimo post rifletteremo sull'influenza che l'esistenza legge 40 in Italia ha su questa situazione.

Giacomo Rocchi

giovedì 21 ottobre 2010

Riflesso condizionato


Cosa sta succedendo in Polonia?

E' in discussione l'approvazione di una legge sulla fecondazione in vitro, attualmente non regolamentata.

I vescovi polacchi, con un intervento molto deciso, "mettono in guardia" contro l'adozione di leggi che la permettono e sottolineano che, dal momento del concepimento, nasce un essere umano; che il costo in termini di vite umane con la fecondazione in vitro è altissima: "Per giungere alla nascita di un bambino in ogni caso arrivano alla morte, nelle diverse fasi della procedura, molte vite"; sottolineano, poi, che molti embrioni vengono congelati; che le ricerche dimostrano che la fecondazione in vitro è un metodo pericoloso per i bambini, poiché alte sono le percentuali di bambini sottopeso, con minore capacità di resistenza, con anomalie genetiche o che affrontano complicazioni varie.

I vescovi polacchi puntano il dito contro l'ideologia che sorregge la fecondazione in vitro: "la fecondazione in vitro è la sorella minore dell'eugenetica" di non lontana memoria (implicito è il riferimento all'eugenetica nazista): essa presuppone la selezione degli embrioni e, quindi l'uccisione degli embrioni più deboli.

I vescovi non si limitano a ciò: prevedono che le conseguenze sociali che la diffusione della fecondazione in vitro può produrre sono "incalcolabili" e aggiungono che: "La separazione della procreazione dal matrimonio porta sempre cattive conseguenze sociali ed è particolarmente dannoso per i bambini venire al mondo come conseguenza di azioni da parte di terzi. Sanzionare legalmente (cioè: autorizzare per legge) la fecondazione in vitro comporta inevitabilmente una ridefinizione della paternità, della maternità, della fedeltà coniugale. Essa introduce inoltre confusione nei rapporti familiari e contribuisce a minare le basi della vita sociale".
I vescovi concludono, quindi che "La necessità urgente la prevenzione della sterilità, le cui cause sono conosciute e dipendono dall'azione cosciente dell'uomo; la fecondazione in vitro non è la cura dell'infertilità".

Secondo quanto riportano le agenzie di stampa, il responsabile per l'episcopato delle questioni bioetiche e lui stesso medico di formazione, mons. Henryk Hoser in un'intervista, ha affermato che "Chiunque voterà leggi a favore della fecondazione in provetta si metterà automaticamente fuori dalla Comunità della Chiesa. Il concepimento di un bambino dovrebbe avvenire solo in modo naturale".
Non conosciamo il testo completo dell'intervista: non stupisce, comunque, l'avverbio "automaticamente" che è evidentemente frutto dell'equiparazione della fecondazione in vitro all'aborto.

Bene, abbiamo pensato: i Vescovi polacchi hanno detto in modo chiaro e forte che nessuna legge può legittimare la fecondazione artificiale, tecnica cattiva in sé, produttrice di mentalità eugenetica, che mina le basi della convivenza sociale e che lascia dietro di sé milioni di embrioni morti o congelati e molti bambini malati, deboli, senza padre e senza famiglia.

Ci eravamo sbagliati?

Avvenire di oggi riassume che "La Polonia cerca la 'sua' legge 40".

Nel riassumere la posizione della conferenza episcopale il giornale richiama un precedente documento in cui la fecondazione artificiale veniva definita "contraria alla fede cristiana, inaccettabile moralmente e pericolosa sia per il bambino che per la madre"; e aggiunge: "I vescovi hanno ribadito non solo la non conformità della fecondazione assistita alla morale cattolica ma anche i dubbi scientifici che ancora oggi sussistono per una pratica vecchia di oltre trent’anni. In particolare la lettera si sofferma sulle «implicazioni per i bambini concepiti» in laboratorio, che un numero crescente di studi scientifici mostrano essere assai negative per la loro salute. Ampio spazio viene dedicato anche alle ricadute sociali che una legge permissiva potrebbe avere: da pratiche eugenetiche per la selezione degli embrioni, alla fecondazione eterologa, con la conseguente ridefinizione di paternità e maternità".

Certo: il testo dei vescovi era abbastanza lungo: mi chiedo, però, come il bravo Lorenzo Shoepflin non si sia accorto che i vescovi polacchi hanno fatto riferimento agli altissimi costi in termini di vite umane della tecnica in sé e come abbia fatto a tralasciare il giudizio secondo cui la fecondazione in vitro in sé è sorella minore dell'eugenetica; come ha fatto, poi ad attribuire alla sola fecondazione eterologa (e non alla fecondazione in vitro in sé) l'effetto di ridefinire paternità e maternità; e infine come ha fatto a non menzionare l'affermazione forte secondo cui la fecondazione in vitro in sé contribuisce a minare le basi della vita sociale ...

Insomma: Shoepflin, evidentemente, conosce il polacco meglio di noi e ha compreso che, quando mons. Hoser prevedeva la scomunica latae sententiae "per chi voterà leggi a favore della fecondazione in provetta", voleva dire: per i politici cattolici che approveranno una legge diversa dalla legge 40 vigente in Italia.

Misteri della lingua ...

Giacomo Rocchi


martedì 19 ottobre 2010

Aborto Legge 194 Noi non ci rassegnamo


SABATO 23 OTTOBRE 2010 - ORE 9.00

Federvita Piemonte e Valle d'Aosta presenta il Convegno
ABORTO LEGGE 194 Noi non ci rassegnamo
SABATO 23 OTTOBRE 2010 - ORE 9.00
Sala Congressi della Piccola Casa della Divina Provvidenza,
Via Cottolengo 14, TORINO


Presentazione e saluti - Marisa Orecchia presidente di Federvita Piemonte
Interverranno: il Governatore della Regione Piemonte On. Roberto Cota
e l’Assessore alla Sanità e alle Politiche Sociali Caterina Ferrero.

Ore 9.30 - Introduce e coordina Maria Paola Tripoli Membro del Co.Ge in rappresentanza del Ministero del Lavoro

Intervengono
Giuseppe Garrone Iniziatore del numero verde SOS Vita (8008/13000) e promotore delle culle per la vita. - “Il CAV e le mamme: per la vita sempre”
Angela Fabbri Presidente della Casa di Accoglienza “La Tenda” - “Una collaborazione possibile: Il Protocollo di Forlì”
Giuseppe Noia Docente di Bioetica e di Medicina prenatale all’Università Cattolica di Roma “La Quercia Millenaria”
Olimpia Tarzia Consigliere Regione Lazio; Presidente Commissione Consiliare Permanente “Scuola, Diritto allo Studio, Formazione professionale, Università” - “Le Istituzioni e la Vita”
Ore 14.45 -
Stephan Kampowski Docente di antrop. filosofica al Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia - “N. 73 dell’Evangelium Vitae”
Mario Palmaro Filosofo del Diritto - Docente Università Europea di Roma - “Dall'aborto chirurgico alla RU 486: come fermare la deriva?”
Antonio Oriente Medico -Vice presidente nazionale AIGOC (Associazione Italiana Ginecologi Ostetrici Cattolici) - “Medico di fronte all'aborto”

Dibattito

Coordina e conclude Marisa Orecchia presidente di Federvita Piemonte

All'indomani della legalizzazione dell'aborto in Italia, I Vescovi, nel Messaggio della XV Assemblea generale, il 30 maggio 1978, scrivevano: “...La vita dell'uomo non è in potere dell'uomo, ma solo di Dio. La vita umana, anche da parte di quanti si dicono non credenti, si difende, non si offende; si serve, non si opprime; si custodisce, non si distrugge. Ora, di fronte alla legalizzazione dell'aborto, che con tanta ostinazione si è voluto introdurre anche nel nostro Paese, la Chiesa non si rassegna, non può rassegnarsi”.
Parole chiare, ribadite successivamente da autorevoli documenti del Magistero e da numerosi interventi degli stessi Pontefici.
Parole chiare cui faceva seguito un fiorire di opere e di iniziative per difendere, custodire e servire la vita nascente da parte di un coraggioso e intraprendente volontariato che ha profuso il suo impegno spesso nella povertà dei mezzi e nel silenzio della grande comunicazione di massa.
Un impegno che ha strappato innumerevoli vite all'aborto volontario.
Una preziosa testimonianza dell'incommensurabile valore di ogni vita umana.
Un punto fermo contro l'ondata del relativismo nichilista che minaccia di travolgere e cancellare, assieme all'uomo, gli stessi principi costitutivi della nostra civiltà.
E' doveroso tuttavia chiedersi, a più di trent'anni dalla legalizzazione dell'aborto, che cosa occorra ancora fare oltre a quanto già fatto, come sia possibile ancora intervenire per riuscire a imprimere un'inversione a quella tendenza che appare, nonostante tutto ormai inarrestabile, a rendere l'aborto volontario sempre più irrilevante.
Questo convegno, l'undicesimo organizzato da Federvita Piemonte, si pone come un momento importante di riflessione sul fenomeno aborto che travaglia la nostra società e di formazione per quel volontariato che non cessa di impegnarsi e di operare per la salvezza dei concepiti e delle loro madri.

Organizzazione: Federazione Regionale dei Movimenti per la Vita e dei
Centri di Aiuto alla Vita del Piemonte e Valle d’Aosta (Federvita Piemonte)
http://www.federvitapiemonte.it/
e.mail info@federvitapiemonte.it
Segreteria: Federvita Piemonte - Corso Trento, 13 - 10129 Torino

venerdì 15 ottobre 2010

Un paese civile


Milano, 13 ott. - (Adnkronos/Adnkronos Salute) -

"Ho dovuto aspettare piu' di 15 anni per un miracolo".

Il papa' di Eluana Englaro, la donna di Lecco a cui, nel febbraio 2009, e' stata interrotta l'idratazione e alimentazione artificiale dopo 17 anni trascorsi in stato vegetativo, ripercorre la dura battaglia condotta per la figlia. E a distanza di oltre un anno e mezzo dalla sua morte, attacca:

"In un paese civile prese di posizione come quella del presidente
della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, non dovrebbero
esistere".


Poche parole (quelle riportate dall'agenzia di stampa), ma che fanno riflettere:
per Beppino Englaro un paese civile è quello in cui, non solo si permette che una disabile incosciente venga lasciata morire di fame e di sete, ma in cui si impedisce a chi non è d'accordo di esprimere la sua opinione ("prese di posizione ... non dovrebbero esistere").

Quando si sostiene che il diritto alla vita viene prima e sta sopra tutti gli altri diritti (di manifestare il pensiero, di riunione, di religione ecc.) si intende proprio questo: un Paese che riconosce il diritto a sopprimere un disabile - negando il suo diritto alla vita - scivola verso la negazione degli altri diritti: non devi parlare, non devi obbiettare!

Ma, se Beppino Englaro nega il diritto di parola per chi si oppone ad un atto ingiusto come quello che stava per compiere sulla figlia Eluana, con quale diritto usa il termine "miracolo"?

Giacomo Rocchi

lunedì 11 ottobre 2010

Cosa dice davvero la legge 40?


Lorenza Violini, su "Il Sussidiario", commenta l'ennesima ordinanza del Tribunale di Firenze con cui è stata sollevata la questione di legittimità costituzionale della legge 40 sulla fecondazione artificiale (cliccando sul titolo ci si collega all'intero articolo).

La Violini tenta di riassumere il contenuto della legge in due paragrafi dell'articolo:

"Ricordiamo che cosa diceva questa legge: essa aveva conferito piena
protezione giuridica agli embrioni, sancendo che essi non possono essere
prodotti/distrutti a scopo di ricerca, che non possono essere crioconservati e
che dunque, una volta prodotti - e non se ne sarebbero dovuti produrre più di
tre - avrebbero dovuto essere tutti impiantati a meno che, ictu oculi, non
risultassero inadatti all’impianto; niente diagnosi preimpianto, dunque, per le
chiare implicazioni eugenetiche che tale pratica avrebbe potuto ingenerare. La legge prevedeva (e per fortuna ancora prevede) un’autorizzazione per i centri che praticano tali interventi (mettendo così fine al cosiddetto “far west” procreativo), l’accesso alle tecniche solo per coppie accertatamente sterili (e quindi ragionevolmente stabili), il divieto di fecondazione eterologa, sanzioni non indifferenti per chi (medici) trasgredissero tali norme.
Insomma, un impianto coerente con la premessa, cioè con la necessità di tutelare
l’embrione pur consentendo, entro limiti, un accesso regolamentato alle nuove
tecniche procreative".


Davvero il contenuto della legge 40 è questo?

Colpisce, in primo luogo, il riferimento ad una norma che permetterebbe di non trasferire nel corpo della donna gli embrioni che risultassero inadatti all'impianto. La legge dice il contrario: che cioè tutti gli embrioni devono essere trasferiti, anche quelli per i quali è facile prevedere che non si impianteranno e moriranno subito dopo il trasferimento. Questa rigidità è stata subito sentita come illogica dai tecnici della fecondazione artificiale e, paradossalmente, si potrebbe ritenere illogica anche sotto il profilo della "tutela" dell'embrione: ha un senso costringere l'embrione ad un viaggio (quello dalla provetta all'utero materno) che lo porterà sicuramente a morte? Sono contraddizioni che conseguono al non riuscito compromesso che cercava il legislatore: permettere pratiche di produzione artificiale dell'uomo e, insieme, cercare di porre regole "a tutela" dell'embrione - ben sapendo che nove embrioni su dieci prodotti sono certamente destinati a morire.
In realtà, la vera coerenza è una sola: vietare la produzione artificiale dell'uomo.


La Violini, poi, parla di un divieto di congelamento degli embrioni: ignora che una norma permette esplicitamente il congelamento, stabilendo un limite ("la causa di forza maggiore relativa allo stato di salute della donna") destinato ad essere ben presto (ancor prima della sentenza della Corte Costituzionale) allargato ed eluso?

Parla di un divieto di diagnosi genetica preimpianto: sa indicare una norma che reciti: "è vietata la diagnosi genetica preimpianto?": come stupirsi che i giudici abbiano sostenuto che questo divieto non esiste?

Quanto all'accesso alle sole coppie sterili: lo sa la Violini che, in molti casi, è la coppia ad autocertificare la propria sterilità?


Quanto alla stabilità della coppia che richiede di accedere alla fecondazione in vitro: non ricorda la Violini che possono accedere anche le coppie che si dichiarano conviventi, senza nessuna possibilità di controllo sull'effettività di tale stato?

E davvero il fatto che i centri che eseguono la fecondazione artificiale debbano essere autorizzati fa scomparire il "far west della provetta"? La Violini sa di qualche controllo da parte delle Regioni o del Ministero? Non è che l'autorizzazione serve, piuttosto, a distribuire soldi pubblici e a fornire un attestato di liceità alle pratiche che si eseguono?


Nella seconda parte dell'articolo la Violini se la prende con giudici, Corte Costituzionale e Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, tutti concordi nell'abbattere i limiti all'esercizio della fecondazione artificiale e conclude:

"Il Nobel al padre della fecondazione assistita non lascia spazio a equivoci sul
clima culturale che domina nelle nostra società e che considera diritto ogni
desiderio e discriminazione ogni possibile limite, anche il più ragionevole,
apposto a tutela della dignità di tutti gli essere umani, che sono da
considerarsi tali dal momento del concepimento fino alla loro fine
naturale."

Ma la legge 40, nel riconoscere il diritto agli adulti di ottenere la produzione artificiale dei loro figli in base al mero desiderio di genitorialità, non ha forse già contribuito a negare in radice la dignità degli embrioni prodotti?


Giacomo Rocchi

sabato 9 ottobre 2010

Una buona battaglia, una bella vittoria


"Nessuna persona, nessun ospedale o altro istituto sarà costretto, reso responsabile o sfavorito in qualsiasi modo a causa di un rifiuto ad eseguire, facilitare, assistere o essere sottoposto ad un aborto, all'esecuzione di un parto prematuro, o all'eutanasia o a qualsiasi atto che potrebbe provocare la morte di un feto o di un embrione umano, per qualsiasi ragione"

"L'Assemblea Parlamentare sottolinea la necessità di appoggiare fermamente il diritto all'obiezione di coscienza ..."

"In ragione degli obblighi degli Stati membri di garantire l'accesso alle cure mediche previste dalle leggi e di proteggere il rispetto della libertà di pensiero, di coscienza e di religione degli operatori sanitari, l'Assemblea invita gli Stati membri del Consiglio d'Europa a sviluppare regolamenti ampi e chiari che definiscano e regolino l'obiezione di coscienza in rapporto con la salute e i servizi medici, che: garantiscano il diritto all'obiezione di coscienza in relazione alla partecipazione nella procedura in questione ..."

La risoluzione adottata dall'Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa il 7/10/2010 è una parola chiara, limpida e decisa contro l'aggressione - sempre più esplicita e violenta - contro gli obiettori di coscienza che rispondono all'imperativo categorico: "Non uccidere!".

Il successo è ancora più evidente se si confronta il testo approvato con quello proposto dalla Commissione: l'Assemblea avrebbe dovuto mostrarsi "profondamente preoccupata per l'aumento e la larga irregolarità del verificarsi della pratica dell'obiezione di coscienza, specialmente nel campo delle cure per la salute riproduttiva"; avrebbe dovuto invitare gli Stati membri a regolare l'obiezione di coscienza, garantendola "solo ad operatori sanitari singoli impegnati direttamente nella procedura in questione e non a istituzioni pubbbliche o statali quali ospedali pubblici e cliniche di ogni tipo" (leggi: obbligo per tutti gli ospedali di fornire il servizio dell'aborto, obbligo per medici e infermieri di partecipare a tutte le procedure preparatorie all'esecuzione dell'aborto); ma anche gli operatori sanitari dovevano essere obbligati "a fornire il trattamento desiderato al quale il paziente ha diritto, malgrado l'obiezione di coscienza, quando il trasferimento ad altro operatore non è possibile, in particolare, quando non è disponibile un operatore equivalente entro una ragionevole distanza" (leggi: se il Servizio sanitario non è in grado di garantire l'aborto o la pillola del giorno dopo il medico o il farmacista obbiettore sono obbligati ad eseguire l'aborto o a fornire la pillola abortiva); inoltre doveva esistere un "meccanismo di supervisione e controllo della pratica dell'obiezione di coscienza che comprendesse un efficace meccanismo di protesta" (leggi: obiettori controllati e giudicati alla luce delle proteste delle associazioni femministe e simili).

Tante osservazioni si potrebbero fare. Una è che il riconoscimento di questo diritto umano fondamentale passa attraverso l'affermazione della verità dei fatti: l'aborto e l'eutanasia uccidono esseri umani; come non sottolineare che il testo proposto dalla Commissione, usano la nota formula "salute riproduttiva", nascondeva la vittima e la sua uccisione e, proprio mediante questo nascondimento, poteva giungere a limitare l'obiezione degli operatori sanitari?

Inevitabile un'altra considerazione: l'Europa riparte da qui, dal rispetto del diritto alla vita, dalla libertà di coscienza, di manifestazione del pensiero, di religione; dalla libertà dei singoli ma anche degli enti intermedi; dal rifiuto dello Stato etico che ti punisce se non sei d'accordo con la maggioranza; dall'esaltazione delle professioni sanitarie come servizio alla vita e alla salute scientificamente avanzato ma soprattutto coscienzioso e responsabile; dalla solidarietà vera nei confronti degli uomini.

L'Europa che usciva dalle due guerre mondiali, dai milioni di morti, dalla terribile esperienza nazista, per tornare ad essere faro di civiltà nel mondo cercava questi valori e queste libertà.

Giacomo Rocchi

giovedì 7 ottobre 2010

I piedi in due staffe (che fatica fare il giornalista cattolico ...)


Che strane sensazioni provoca la lettura dell'articolo di Francesco Ognibene su Avvenire del 6/10/2010!

La fecondazione in vitro? Una tecnica fallimentare:

"Si parla dei 4 milioni di bambini nati grazie alla fecondazione
extracorporea, e si tace sui tentativi falliti (infinitamente di più) per
arrivare a quel risultato? La verità (taciuta) è che 32 anni dopo la nascita
della prima "figlia della provetta" – l’ormai celebre Louise Brown – la tecnica
della procreazione artificiale ha un imbarazzante tasso di fallimenti:
bene che vada, arriva in porto una gravidanza ogni otto embrioni
"prodotti".
I dati dell’ultima relazione ministeriale al Parlamento
sull’applicazione della legge 40 parlano di 10.212 nati nel 2008 contro 84.861 esseri umani creati artificialmente e mai giunti a realizzare il
progetto di vita
dirompente, irriproducibile e misterioso che li
governa sin dal primo istante (e sfidiamo qualunque Nobel a dimostrarci il
contrario). Una sproporzione agghiacciante, specie se si considera che parliamo
di vite umane".

Accipicchia! Stai a vedere che sta per parlar male di quella legge che ha permesso 84.861 morti in un anno (ma Ognibene non parla di "embrioni morti" ...): si è reso conto di quello che sta succedendo e ha tirato le inevitabili conclusioni!

Sbagliato! Sta succedendo altro:

"quello che accade è questo, per chi l’avesse dimenticato: il dilagante business delle cliniche private che pretendono mano
libera per poter prosperare; il mercato degli ovociti e delle maternità
surrogate
, sulla pelle delle donne di Paesi poveri; la spietata
selezione dell’embrione
con le caratteristiche migliori, il sesso
prescelto, la dotazione genetica ineccepibile; il bombardamento ormonale
di ogni ciclo di fecondazione
, che espone le donne a conseguenze
nefaste per la salute; la sterilità (talora motivata da cause psicologiche)
ancora lì, assolutamente irrisolta, con tutto il suo carico di sofferenze; un
numero enorme e crescente di embrioni "sospesi" nei freezer di mezzo
mondo
; l’adozione deprezzata a scelta di scarto"

E gli embrioni morti? Quisquilie ...

In Italia va tutto bene! Le cliniche private non dilagano (349 centri, di cui almeno 250 privati): anzi, non dilagano le cliniche private cattive, perché quelle private (cattoliche?) buone che congelano gli embrioni applicano la buona legge! In Italia non si fa selezione degli embrioni e diagnosi preimpianto (è sicuro Ognibene?); in Italia non vi sono casi di sindrome da ipestimolazione ovarica (329 casi di complicanze nel 2008 di cui 197 casi di sindrome da iperstimolazione); in Italia non si congelano gli embrioni (almeno 3.000 embrioni congelati dal 2004 ad oggi); in Italia si dà preferenza all'adozione (la legge prevede solo che il medico possa far presente alla coppia richiedente della possibilità di adottare e nient'altro).

Ma soprattutto, in Italia quegli 84.861 embrioni morti non si devono conteggiare!

Come è difficile scrivere in un giornale cattolico in Italia ...

Giacomo Rocchi

mercoledì 6 ottobre 2010

Senza alibi


L'assegnazione del Premio Nobel per la medicina a Robert Edwards, "padre" della fecondazione in vitro applicata all'uomo è una decisione che non permette facili vie d'uscita o artifici linguistici: o si sta di qua, o si sta di là.

Premio Nobel per la Medicina: ma la fecondazione in vitro cura forse qualche patologia? No, è una tecnica che non cura, ma permette di concepire e far nascere pochissimi bambini senza far guarire nessuno. Anzi: donne (soprattutto) e uomini vengono sottoposti a trattamenti artificiali assai intensi, pericolosi - trattamenti che, nelle donne, provocano una specifica sindrome, talvolta mortale - che in nessun modo li guariscono.

I trattamenti possono, invece, far ammalare le donne e gli uomini che vi si sottopongono: malattie fisiche, psicologiche e talvolta psichiatriche.

Può definirsi medico chi, per produrre un bambino, ne fa morire venti?

Può definirsi medico chi, quando il "prodotto" della tecnica, anche se sopravvive, è difettoso, lo butta via?

Può definirsi medico chi produce uomini con l'intenzione di sperimentare su di essi?

Può definirsi medico (e scienziato) chi nega che l'embrione umano è un uomo?

E che medico è quello che - per soldi - ritiene che il suo compito sia quello di soddisfare i desideri di chi lo paga, a prescindere dagli strumenti che userà, dalle finalità perseguite, dell'esito delle tecniche che applicherà?
Giacomo Rocchi
Cliccando sul titolo ci si collega al Comunicato Stampa del Comitato Verità e Vita sull'assegnazione del Premio Nobel per la Medicina a Robert Edwards

sabato 2 ottobre 2010

RU486: un problema solo per le donne?

Riporto un interessante articolo dove il problema RU486 risulterebbe essere la rischiosità per le donne.
Tristemente non si riscontra cenno degli embrioni uccisi, del feto dimenticato, dell'espulsione nel water di un figlio, dell'assassinio di un bambino innocente, dell'incomprensibile rassegnazione generale di fronte al genocidio dei bambini indifesi "non voluti":
"Morte altre due donne a causa della Ru486
Ancora due donne morte dopo aver abortito con la Ru486: ce ne danno notizia tre esperti dei Cdc («Centres for Disease Control and Prevention») di Atlanta, nell’ultimo numero della prestigiosa rivista scientifica New England Journal of Medicine. I decessi sono per shock settico da «Clostridium sordellii», la fatale infezione che ha già ucciso sei donne finora, mentre per una settima lo shock era dovuto a un altro tipo di Clostridium, il «Perfringes». Tutte dopo aborto medico.

Dei due decessi il primo risale al 2008: una donna di 29 anni alla quinta settimana di gestazione. Cinque giorni dopo aver assunto la Ru486 si è ricoverata con tutti i sintomi della terribile infezione, tranne la febbre, e ventiquattr’ore dopo è morta, dopo l’estremo tentativo dei medici di salvarla con l’asportazione di utero, ovaie e tube di Falloppio. Questa donna soffriva di diabete, mentre l’altra era sana, aveva 21 anni ed era alla settima settimana di gravidanza. Ricoverata in ospedale una settimana dopo la somministrazione della Ru486, anche lei con i sintomi della sepsi ma non la febbre, è morta dopo un’agonia di altri cinque giorni.

Alle due donne non erano stati prescritti antibiotici, e la prostaglandina, il secondo farmaco abortivo che provoca le contrazioni uterine e favorisce l’espulsione, era stata somministrata per via vaginale.
Nell’articolo del New England Journal of Medicine vengono ricordate le raccomandazioni della più grande federazione americana di cliniche abortive, la Planned Parenthood Federation of America: la somministrazione del secondo farmaco boccale anziché vaginale, e sempre la profilassi antibiotica. Gli esperti però chiariscono che «rimane sconosciuta» l’efficacia di queste due indicazioni. In altre parole, non si sa quanto antibiotici e somministrazione orale possano effettivamente prevenire l’infezione letale.

È noto infatti che l’ultima donna morta dopo un aborto con Ru486, sempre per shock settico da Clostridium Sordellii, aveva preso la prostaglandina per bocca: la possibilità che sia la somministrazione vaginale del farmaco a scatenare l’infezione, quindi, è messa fortemente in discussione.

Che la Ru486 interferisca con il sistema immunitario è stata la prima ipotesi formulata da esperti del settore, ma in questi anni non ci sono state conferme né smentite. Il fatto poi che queste morti vengano scoperte solamente negli Stati Uniti si può spiegare solo con una maggiore trasparenza delle informazioni e, probabilmente, con una vigilanza specifica da parte delle autorità sanitarie americane. Nel maggio del 2006, infatti, ad Atlanta – proprio dopo le morti a seguito di aborto con la Ru486 – si è tenuto un convegno internazionale sulle infezioni da Clostridium promosso dalle più importanti istituzioni sanitarie americane, e da allora l’attenzione è rimasta elevata.
Lo stesso non si può dire per altri Paesi: ad esempio delle cinque morti inglesi dopo aborto con Ru486 – due nel 2008 – si è avuta notizia solo dopo che il nostro Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali ha fatto un’esplicita richiesta alla ditta che produce la pillola. La "libera" stampa inglese non vi ha dedicato neppure una riga.

Una triste contabilità, quindi, ci dice che dopo la somministrazione di Ru486 sono morte 19 donne che avevano abortito, e 12 persone che avevano preso il farmaco per "uso compassionevole", cioè al di fuori di protocolli stabiliti, per un totale di 31 vittime certificate sinora nel mondo. Vanno poi ricordate altre due donne morte dopo aborto farmacologico, per il quale però era stato somministrato solo il secondo farmaco, le prostaglandine. (Assuntina Morresi)"

Vogliamo veramente batterci perchè la RU486 sia il pesticida umano perfetto, ossia che uccida il bambino senza effetti collaterali per l'omicida?
Forse vogliamo una sperimentazione per una RU486 'SICURA'?
Dove ci porterà la cultura che tace -l'abominio dell'assassinio del figlio- e pone tutta l'attenzione sulla 'sicurezza' dei mezzi occisivi?
Giovanni Ceroni

venerdì 1 ottobre 2010

Il vescovo, il politico cattolico, il medico cattolico, il giurista cattolico








Vincenzo Saraceni, presidente dell'Associazione Medici Cattolici, è ottimista: "'Sembrano profilarsi dei promettenti spazi di confronto diretti a ricondurre la disciplina dell'interruzione volontaria della gravidanza in un contesto rigoroso e non ideologico, quanto più' possibile corretto perché' indirizzato non a sancire un inesistente diritto ma solo a scongiurare il prosperare di fenomeni speculativi legati alle pratiche clandestine ed il connesso insorgere di gravi rischi per la salute della gestante''. Saraceni ha quindi osservato come vi sia ''una più' concreta disponibilità a riconsiderare gli istituti giuridici inseriti nella legge 194 con l'intento non di cancellare la disciplina, ma piuttosto di correggerla in modo tale che essa divenga, così come del resto prevedeva il legislatore, piu' efficace strumento tanto di sostegno delle gestanti quanto di salvaguardia della salute della donna''. ''Un cammino difficile - ha concluso Saraceni - ma percorribile che dobbiamo avviare senza esitazioni''.

Dionigi Tettamanzi, Vescovo di Milano e assistente dei medici Cattolici, concorda: "Nell’alveo della legge è possibile realizzare delle mo­dalità operative a favore della vita che ci sono offerte dalla legge stessa, una legge aperta all’operatività a tutela della vi­ta. Ho l’impressione – aggiun­ge – che si applichi la 194 sen­za adeguata attenzione al suo dettato complessivo che è molto più impegnativo di quanto non venga inteso nel­l’interpretazione comune. L’impegno che dobbiamo as­sumere – conclude – è quello di conoscere questa legge nei suoi particolari per compiere passi in difesa della vita".

Eugenia Roccella, sottosegretario alla Salute e politico cattolico, non pare avere dubbi: "Ade­guare una legge vecchia alla nuova realtà. Il quadro della legge resta lo stesso, ma servo­no linee guida che passino per la conferenza Stato-Regioni e non siano, quindi, più eludibi­li. Anzitutto biso­gna applicare la prima parte della legge, e se per trent’anni questo non è stato fatto, vuol dire che c’è qualcosa che non va. Su questo tema credo vi sia una maggioranza che la pensa così, anche più larga di quella che c’è in Parlamento ... oggi abbiamo questa frontiera: difendere la 194, cioè difendere il fatto che si abortisca nelle strutture pubbliche. Altro punto a favo­re della legge: non è eugeneti­ca, mentre la diagnosi pre-im­pianto, se formalizzata, intro­durrebbe uno specifico prin­cipio eugenetico".

Chiude Luciano Eusebi, giurista insigne: "Nella legge c’è poi spazio per una maggiore alleanza con la don­na, con la valorizzazione del colloquio per prevenire la scel­ta abortiva"
Visto che i lusinghieri giudizi sul legislatore del 1978 provengono tutti dal mondo cattolico potremmo suggerire ai vescovi italiani che pensano ad una "scuola di formazione per i politici cattolici" di invitare come relatori coloro che scrissero la legge 194 e, magari, anche il sen. Andreotti a spiegare "perché era giusto firmare la legge 194 sull'aborto"...
Ma visto che questo non è un blog cattolico, poniamo soltanto una domanda: in quei discorsi così ottimistici circa i "tempi nuovi"; così interessati al "vero contenuto della legge 194"; così preoccupati per la salute delle donne e la pratica dell'aborto clandestino ...
in quei discorsi i bambini uccisi dove sono?

Giacomo Rocchi