venerdì 19 marzo 2010

Chi ha scritto davvero il progetto Calabrò? /2




Abbiamo visto nel precedente post in che modo il progetto Calabrò introduce l'eutanasia in Italia.

Qualcuno può sindacare la decisione del tutore o del genitore di non attivare terapie salvavita? I medici possono fare a meno del loro consenso e curare ugualmente il bambino o l’interdetto per salvare loro la vita?

Come si è visto, l’emendamento della sen. Bianconi proponeva che il medico potesse disattendere le indicazioni dei rappresentanti legali, con l’unico onere di darne conto nella cartella clinica: quindi medici preparati, coraggiosi, capaci di iniziativa autonoma e, soprattutto, pronti a prendersi le proprie responsabilità.
Il quadro disegnato dalla sen. Bianconi comprendeva, fra l’altro, il divieto di eutanasia “anche attraverso condotte omissive” e prevedeva espressamente che “il medico non è responsabile se ha agito nell’interesse della vita e della salute del paziente e nel rispetto dei criteri elaborati dalla scienza medica”: ma anche questi emendamenti sono stati respinti dall’Aula del Senato.

La risposta purtoppo è facile: nessuno può sindacare i motivi per cui il rappresentante legale rifiuta terapie salvavita per l’incapace e il medico non può curare l’incapace in presenza del rifiuto.
Cosa può fare il medico? Egli può chiedere l’autorizzazione di curare al giudice tutelare.
Può: non deve chiedere l’autorizzazione. E se non la chiede e lascia morire il paziente non rischia nulla: la mancanza del consenso del tutore o del genitore, infatti, fa venire meno l’obbligo di curare e, quindi, la eventuale morte del paziente non sarà conseguenza della sua omissione.

L’unica eccezione? Il pericolo di vita della persona incapace di intendere e di volere, ma solo se essa consegue al “verificarsi di un evento acuto” (ad esempio: un incidente stradale, con conseguente tentativo di rianimazione effettuato sul posto dal medico dell’autoambulanza); se invece il pericolo di vita non consegue ad un “evento acuto” (ad esempio: un soggetto in stato vegetativo affetto da una malattia polmonare che è in fase di peggioramento), il consenso del rappresentante legale sarà necessario e il rifiuto di curare sarà efficace e dovrà essere rispettato.

E la nutrizione e idratazione artificiale? Il tutore non potrà ordinarne la sospensione: potrà, però, impedire ai sanitari di attivarla, vietando l’inserimento del sondino nasogastrico o della PEG.

Ciascuno può comprendere come questa regolamentazione altro non è che la legalizzazione dell’eutanasia. Chi ne sono i padri?
Senza dubbio il testo segue quello contenuto della proposta di legge del sen. Ignazio Marino che prevedeva:

“1. Il consenso al trattamento sanitario del minore è accordato o rifiutato
dagli esercenti la potestà parentale, la tutela o l’amministrazione di sostegno;
la decisione di tali soggetti è adottata avendo come scopo esclusivo la
salvaguardia della salute psicofisica del minore.
2. Il consenso al trattamento sanitario del minore non è richiesto quando il minore stesso versi in pericolo di vita a causa del verificarsi di un evento acuto….
4. Il consenso al trattamento sanitario del soggetto maggiore di età, interdetto o
inabilitato, legalmente rappresentato o assistito, ai sensi di quanto disposto
dal codice civile, è espresso dallo stesso interessato unitamente al tutore o
curatore”


e, quanto all’impossibilità per il medico di curare il minore o l’interdetto nonostante il rifiuto dei rappresentanti legali, prevedeva:

“L’autorizzazione giudiziaria è necessaria in caso di inadempimento o di rifiuto
ingiustificato di prestazione del consenso o del dissenso ad un trattamento
sanitario da parte di soggetti legittimati ad esprimerlo nei confronti di
incapaci”.


Il sen. Marino, nella relazione esplicativa, dimostrava chiaramente di considerare determinate condizioni di vita “inaccettabili”, degne di essere fatte cessare: “Ogni giorno i medici sono posti di fronte a scelte drammatiche quando per un paziente non c’è più una ragionevole speranza di recuperare l’integrità intellettiva ed una vita indipendente dalle apparecchiature e dalle terapie che la sostengono. La tecnologia attuale è in grado di mantenere in vita malati per i quali in passato non c’era nulla da fare, permettendo di prolungare artificialmente la vita di una persona che ha perso ogni risorsa, che non ritroverà mai più una condizione accettabile di salute, e tutto questo rende sempre più drammatico il problema dell’interruzione volontaria delle terapie al fine di evitare l’accanimento terapeutico”.

Come si vede se una persona “non ritroverà mai più una condizione accettabile di salute”, la sua vita viene “prolungata artificialmente”. Ciò non deve accadere se già in altri paesi “evoluti”
interrompere le terapie quando non esiste una ragionevole speranza di riportare il paziente ad una condizione di vita accettabile non solo è una prassi comune nelle strutture sanitarie, ma è una possibilità prevista da regole precise, rispettate dagli operatori sanitari senza suscitare alcun clamore”.
Senza clamore lasciamo che siano fatti morire: questo auspicava il sen. Marino.

Ma il principio per cui il medico non può operare di sua iniziativa e deve – sempre – rispettare la volontà del paziente, non appartiene solo al sen. Marino: si è già parlato del progetto radicale della sen. Poretti; come dimenticare, poi, la proposta del sen. Veronesi su questo punto:

“Medici e operatori sanitari sono tenuti a rispettare le volontà espresse
anticipatamente dalla persona. Qualora il medico non condivida il principio
del diritto al rifiuto delle cure, si astiene dal curare il malato,
lasciando il compito assistenziale ad altri”
Il medico deve eseguire le decisioni altrui; se non è d’accordo, si faccia da parte …
Su questo punto essenziale – nascosto all’opinione pubblica – il progetto di legge Calabrò mostra di essere figlio di concezioni assai diverse – anzi: contrapposte – a chi proclama di essere un difensore della vita.
Davvero quel progetto è una “buona proposta”?

Giacomo Rocchi

mercoledì 17 marzo 2010

Come il progetto Calabrò introduce l'eutanasia


Nel post precedente abbiamo provato a descrivere quale può essere il percorso che i fautori dell'eutanasia cercheranno di seguire per legalizzarla in Italia.

Cosa prevede il progetto di legge Calabrò?

In particolare: quali limiti pone al potere dei rappresentanti legali degli incapaci? Permette loro di rifiutare cure o nutrizione ai loro assistiti così da provocarne la morte?
Quali poteri attribuisce ai sanitari rispetto al rifiuto delle cure espresse dai rappresentanti? I medici potranno agire anche contro la loro volontà per salvare la vita degli incapaci loro pazienti? Potranno agire anche senza il consenso espresso dai rappresentanti? Quali rischi correranno?

Vale la pena di leggere le norme approvate:

art. 2 comma VI: “In caso di interdetto, il consenso informato è prestato dal
tutore che sottoscrive il documento. In caso di inabilitato o di minore
emancipato, il consenso informato è prestato congiuntamente dal soggetto
interessato e dal curatore. Qualora sia stato nominato un amministratore di
sostegno e il decreto di nomina preveda l’assistenza o la rappresentanza in
ordine alle situazioni di carattere sanitario, il consenso informato è prestato
anche dall’amministratore di sostegno ovvero solo dall’amministratore. La
decisione di tali soggetti riguarda anche quanto consentito dall’art. 3 ed è
adottata avendo come scopo esclusivo la salvaguardia della salute dell’incapace”
art. 2 comma VII: “Il consenso informato al trattamento sanitario del minore
è espresso o rifiutato dagli esercenti la potestà parentale o la tutela dopo
avere attentamente ascoltato i desideri e le richieste del minore. La decisione
di tali soggetti riguarda quanto consentito anche dall’art. 3 ed è adottata
avendo come scopo esclusivo la salvaguardia della salute psicofisica del
minore”
art. 2 comma VIII: “Qualora il soggetto sia minore o legalmente
incapace o incapace di intendere e di volere e l’urgenza della situazione
non consenta di acquisire il consenso informato così come indicato nei commi
precedenti, il medico agisce in scienza e coscienza, conformemente ai
principi della deontologia medica nonché della presente legge.
Art. 2 comma IX: “Il consenso informato al trattamento sanitario non è richiesto quando la vita della persona incapace di intendere o di volere sia in pericolo per il
verificarsi di un evento acuto”
art. 8 comma II: “L’autorizzazione giudiziaria (da parte del giudice tutelare) è necessaria anche in caso di inadempimento o di inerzia da parte dei soggetti legittimati ad esprimere il consenso al trattamento sanitario”.

Come si vede, il tutore si sostituisce ad ogni decisione medica all’interdetto; lo stesso avviene per i genitori dei figli minori che hanno solo l’obbligo di ascoltarne i desideri (senza essere in alcun modo vincolati ad essi). Tornando all’interdetto, dobbiamo ricordare che gli adulti vengono interdetti non solo quando – come Eluana Englaro – hanno perso del tutto la coscienza, ma anche se, in forza di infermità mentale, sono “incapaci di provvedere ai propri interessi”: quindi può darsi che la persona anziana che cammina accanto a noi per strada sia stata interdetta; circa le terapie, sarà il tutore a decidere per lui.
Sia chiaro: ciò è del tutto ragionevole nell’ottica dell’aiuto prestato al minore o all’anziano. Il problema non è quello di stabilire se un genitore, dopo avere parlato con il dentista del figlio, possa decidere se fargli mettere o meno l’apparecchio consigliato; piuttosto il problema sorge se attribuiamo al genitore di un bambino malato di tumore il potere di decidere di non fargli il ciclo di chemioterapia prescritto dai sanitari, oppure di non sottoporlo a terapia intensiva neonatale se è nato prematuramente.

Quali poteri, allora? “La decisione di tali soggetti riguarda anche quanto consentito dall’art. 3” e quindi permette ai tutori e ai genitori “la rinuncia … ad ogni o ad alcune forme particolari di trattamenti sanitari in quanto di carattere sproporzionato o sperimentale” (art. 3 comma III) e ancora “la non attivazione di trattamenti sanitari, purché in conformità a quanto prescritto dalla legge e dal codice di deontologia medica” (art. 3 comma II).
Quindi i rappresentanti possono rifiutare o rinunciare a terapie per conto degli assistiti, se essi ritengono che si tratti di trattamenti sanitari sproporzionati.
Questo rifiuto può portare anche alla morte degli assistiti? Purtroppo si
: sono infatti vietate indicazioni dirette all’uccisione diretta dei rappresentati (il tutore non potrà imporre ai medici di somministrare all’interdetto una dose massiccia di tranquillanti per provocarne la morte), ma nessuna norma nel progetto di legge dichiara inefficace il rifiuto di terapie salvavita da parte del rappresentante legale.

Un parlamentare che, nel corso della discussione al Senato della Repubblica, aveva ben presente questo tema, è la sen. Laura Bianconi, autrice del progetto n. 1188 e che, in sede di discussione in Assemblea del progetto Calabrò, aveva proposto alcuni emendamenti. Molto chiara era la portata di quelli relativi al potere dei rappresentanti legali:

8-ter. Il consenso di cui ai commi precedenti non può
contenere il rifiuto di trattamenti sanitari utili alla vita e alla salute
del paziente.
8-quater. Il medico, ove ritenga che il consenso contenga
indicazioni in contrasto con il comma 8-bis, le disattende indicando per
iscritto i motivi nella cartella clinica.
Era una specie di sfida all’Aula: “volete aiutare i minori e gli adulti incapaci oppure vi interessa soltanto permettere che altri decidano di farli morire?” Nella seduta del 24/3/2009 la sen. Bianconi spiegava che “vorrei si potesse fugare ogni possibile sospetto sul fatto che chi decide per altri non sia tenuto a garantire sempre e comunque la salute del suo amministrato … Il rischio che mi sembra possibile è, ad esempio, che un padre amorevole possa disporre della vita del figlio così come potrà disporre della propria: questa dilatazione potrebbe consentire facili interpretazioni su situazioni che purtroppo abbiamo già visto in quest'Aula”.

Ebbene: il relatore sen. Calabrò espresse parere contrario su questo emendamento (così come il rappresentante del Governo, on. Giovanardi) e l’Aula respinse l’emendamento, di cui, infatti, non vi è traccia nel testo finale del progetto di legge approvato.

Davvero non si può avere dubbi su quale fosse la volontà del Senato …

Giacomo Rocchi

sabato 13 marzo 2010

Come legalizzare l'eutanasia in Italia?

Cosa si intende per "eutanasia"?

Venuti meno i motivi che spingevano ad eliminare individui in ragione della loro razza, eutanasia non è soltanto l’uccisione pietosa di colui che chiede di essere ucciso oppure l’aiuto prestato allo stesso a suicidarsi; come abbiamo detto nel precedente post piuttosto è attribuire ad una persona il potere di decidere la vita e la morte di un’altra persona che non può farlo autonomamente.
La legalizzazione dell’eutanasia costituisce, in definitiva, una eccezione al divieto di omicidio volontario, che la legge penale sanziona severamente, così come la legalizzazione dell’aborto pone delle eccezioni al divieto di uccidere i bambini prima della nascita.

Come raggiungere questo risultato? Per i limiti costituzionali e anche per motivi di sensibilità generale non è (per il momento?) possibile porre eccezioni esplicite al divieto di uccidere esseri umani (non è possibile, cioè, riscrivere la norma sull’omicidio volontario, ad esempio, in questo modo: “chiunque cagiona la morte di un uomo, salvo che si tratti di soggetto in stato vegetativo o di neonato prematuro a rischio di gravi disabilità, è punito con la pena non inferiore a ventuno anni di reclusione”).
Si deve, allora, passare attraverso la omissione di cura delle malattie o addirittura attraverso la mancata nutrizione e idratazione a coloro che non sono in grado di nutrirsi e idratarsi da soli, lasciando la decisione ad altri.

Occorre, però, far sì che la decisione di non curare o di non nutrire un incapace o un minore – decisione che, di fatto, ne provoca la morte – sia giuridicamente efficace, in modo da far venir meno l’obbligo giuridico di curare e di nutrire.
Spieghiamo questo passaggio cruciale con qualche esempio: se una madre (magari per la depressione post partum ben conosciuta) fa morire suo figlio non dandogli da mangiare, senza che nessuno se ne accorga, sarà responsabile di omicidio del figlio perché ha omesso un comportamento – quello di nutrire colui che non poteva farlo da solo e che era affidato alla sua cura – che era doveroso; ella sarà colpevole così come lo sarebbe se uccidesse il figlio con una coltellata: omettere un comportamento doveroso e provocare la morte mediante questa omissione equivale a provocare la morte con un comportamento attivo. Allo stesso modo la madre sarà colpevole di omicidio del figlio se, avendo il bambino una qualche patologia (magari una forte influenza) che può essere curata a casa con medicinali (ad esempio antibiotici) che il dottore ha regolarmente prescritto, decide di non somministrare il medicinale al bambino cosicché la malattia si aggrava e, non curato, alla fine il bambino muore.
L’esempio della madre e del bambino può essere allargato ad ipotesi simili: ad esempio al padre di un figlio che, in conseguenza di un trauma, ha perso conoscenza; o al figlio di un padre anziano colto da demenza senile e ormai incapace di provvedere alle proprie necessità anche minime; sono tutti casi (se ne possono trovare altri) in cui c’è una persona debole (a volte malata, altre volte in una condizione di incoscienza oppure affetta da forte handicap fisico o mentale) che necessita di terapie e di sostegno vitale per sopravvivere e non è in grado di curarsi o nutrirsi da solo per la sua età, per il suo stato di incoscienza, per le sue condizioni fisiche e mentali.

Il principio generale vigente è che è obbligatorio curare e nutrire queste persone: un medico di un ospedale che si accorge che un anziano demente è affetto da broncopolmonite, lo deve curare adeguatamente e non può omettere di prescrivergli gli antibiotici sulla considerazione che, vista la condizione in cui si trova, davvero non vale la pena prolungare una vita di quel genere (che, fra l’altro, fa soffrire i congiunti e “blocca” un letto in corsia che costa molto al servizio sanitario); e un neonatologo che ha in cura un neonato prematuro che, se sottoposto a cure intensive, ha buone possibilità di sopravvivere, anche se rischia di riportare qualche handicap, non può dire: “non lo mettiamo nell’incubatrice! Tanto, se riusciamo a salvarlo, sarà un infelice!”; o l’infermiera o la badante che ha la cura di un soggetto in stato di incoscienza irreversibile, non può decidere di smettere di nutrirlo, pensando: “intanto, cosa cambia? Non tornerà mai alla coscienza!”.

L’infermiera non può farlo … ma il tutore sì! Il caso Englaro, per la prima volta in Italia (in altri paesi era già successo), ha creato una breccia al principio generale che è obbligatorio curare e nutrire gli esseri umani che non possono farlo da soli: in forza dei provvedimenti dei Giudici è stato attribuito ad un’altra persona (appunto: il padre – tutore) il potere di rendere non più obbligatoria la nutrizione e l’idratazione del soggetto incosciente: e se non erano più obbligatorie, la loro sospensione – che, di fatto, ha provocato la morte di Eluana Englaro – non integra più il reato di omicidio volontario, perché è stata una condotta autorizzata e lecita.

Ma, se il caso Englaro si basava su sentenze civili del tutto inaspettate e decisamente discusse, dobbiamo attenderci il tentativo di stabilire lo stesso principio per legge: se il potere di decidere sulla vita e la morte dei loro assistiti viene attribuita dalla legge ai genitori dei minori, ai tutori, agli amministratori di sostegno, non ci sarà più bisogno di cause giudiziarie per ottenere il risultato sperato e tutto rientrerà nella normalità.

C’è un altro argomento che spinge i fautori dell’eutanasia a non accontentarsi di sentenze e cercare di fare approvare una legge: la posizione dei sanitari. Occorre far sì che i medici e gli infermieri non possano erogare terapie necessarie agli incapaci o di fornire loro il sostegno vitale nel caso i genitori o i tutori siano contrari e, insieme, garantirli da ogni rischio per la morte dell’incapace non curato o non nutrito.
Solo così i sanitari non potranno impedire l’eutanasia e (almeno la maggioranza di loro) non vorranno impedirla.

Questo obbiettivo era esplicitato, ad esempio, nel progetto di legge Poretti e Perduca (radicali), uno di quelli su cui il sen. Calabrò doveva lavorare: si prevedeva, in quel progetto, che “il mancato rispetto delle volontà espresse (dal tutore o dall’amministratore di sostegno) è perseguibile penalmente e civilmente a tutti gli effetti” (quindi la minaccia contro i medici riottosi), ma si assicurava ai sanitari che rispettano le volontà “anche qualora ne derivi un pericolo per la salute o per la vita del dichiarante” che essi sarebbero stati “esenti da ogni responsabilità, anche in deroga a contrarie disposizioni di legge vigenti prima dell’entrata in vigore della presente legge” (la tranquillità garantita al medico che fa quello che deve fare …).

Vedremo come il progetto Calabrò regola questo argomento cruciale nel prossimo post.

Giacomo Rocchi